1. La Restaurazione e il Romanticismo
1.1 La Restaurazione e i suoi limiti
Con la sconfitta di Napoleone a Waterloo, nel giugno 1815, si chiudeva definitivamente la lunga stagione delle guerre che avevano opposto la Francia rivoluzionaria e napoleonica alla vecchia Europa delle dinastie. Cominciava l'età della
Restaurazione, ossia della ricostituzione del vecchio ordine europeo, infranto prima dall'ondata rivoluzionaria poi dalle conquiste delle armate francesi. Restaurazione in primo luogo dei sovrani spodestati, ma anche delle gerarchie sociali tradizionali, degli ordinamenti prerivoluzionari, dei modi di governare tipici dell'ancien régime.
Questo almeno era il programma dei "restauratori" più intransigenti: di molti sovrani, di buona parte dell'aristocrazia e del clero, di quegli intellettuali reazionari che avevano visto nella rivoluzione francese una specie di flagello biblico. Ma si trattava di un programma irrealizzabile nella sua interezza, come del resto capivano anche i conservatori più avveduti. Troppi erano i mutamenti intervenuti nella società e nelle istituzioni, troppo vaste le forze mobilitate nell'uno e nell'altro campo in quasi venticinque anni di guerre. Le ideologie e i modelli di governo scaturiti dalle esperienze rivoluzionarie si erano troppo radicati nella coscienza di molti intellettuali - e in parte anche delle masse popolari - per poter essere cancellati d'un colpo dal panorama politico-culturale europeo. Il fatto stesso che i nemici della rivoluzione sentissero l'esigenza di contrapporre agli ideali dell'89 e del '93 un proprio sistema di valori e di formule ideologiche era rivelatore di una nuova dimensione assunta dalla lotta politica, di un mutamento di stile rispetto ai tempi dell'ancien régime, quando sovrani e governanti non dovevano preoccuparsi di giustificare in alcun modo le loro scelte politiche.
Ancora più difficile da rimuovere era l'eredità rivoluzionaria per quanto riguardava le istituzioni politiche e gli ordinamenti giuridici. In questo campo la dominazione napoleonica aveva portato i progressi più evidenti sul piano della certezza del diritto e dell'uguaglianza formale fra i cittadini, ma anche su quello dell'organizzazione burocratica e della razionalizzazione delle attività economiche. Tutto ciò rispondeva alle aspirazioni e ai bisogni di una borghesia (della proprietà terriera e delle professioni, del commercio e dell'industria) che aveva acquisito una nuova consapevolezza del suo ruolo nella società. In molti Stati la Restaurazione si risolse così, più che in un puro e semplice ritorno all'antico, in un compromesso fra antico e nuovo, in un tentativo, non sempre riuscito, di adattare le vecchie strutture a una realtà sociale mutata.
Il terreno su cui la volontà restauratrice si manifestò con maggior decisione e con risultati più evidenti fu certamente quello dei rapporti internazionali. Anche in questo campo, però, i mutamenti rispetto al periodo prerivoluzionario non furono pochi né irrilevanti: la carta d'Europa del 1815 era per molti aspetti più razionale e più "moderna" rispetto a quella del 1790. Ma per capire i fondamenti e le linee ispiratrici del nuovo assetto continentale è necessario fare un passo indietro e tornare all'autunno del 1814: quando, dopo il crollo dell'Impero napoleonico e la firma del primo trattato di Parigi con la Francia, le potenze vincitrici si erano riunite a Vienna per decidere i destini dell'Europa.
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