21.15 Sommario
L'evento scatenante della prima guerra mondiale fu l'uccisione a Sarajevo, il 28 giugno '14, dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono degli Asburgo. Un mese dopo, l'Austria dichiarò guerra alla Serbia, ritenuta corresponsabile dell'attentato. La Russia, che proteggeva la Serbia, mobilitò il suo esercito provocando la reazione della Germania, alleata dell'Austria. Il 3 agosto la Germania dichiarò guerra alla Russia e alla Francia sua alleata. Il 5, dopo che le truppe tedesche ebbero invaso il Belgio neutrale, anche la Gran Bretagna scese in campo contro gli imperi centrali.
Allo scoppio del conflitto, e alla sua successiva estensione su scala mondiale, concorsero una serie di tensioni preesistenti, ma anche errori e scelte avventate commesse dai capi politici e militari dei paesi interessati. Le scelte dei governanti furono del resto appoggiate da una forte mobilitazione dell'opinione pubblica. Gli stessi partiti socialisti si schierarono, nella maggior parte dei casi, su posizioni patriottiche.
Gli eserciti scesi in campo nell'estate del '14 non avevano precedenti per dimensioni e per novità di armamenti. Ma le concezioni strategiche restavano legate alle esperienze ottocentesche. I tedeschi, in particolare, puntavano sull'ipotesi di una rapida guerra di movimento. Ma, dopo essere penetrati in territorio francese, furono bloccati sulla Marna. Già alla fine del '15, il conflitto assunse dunque i caratteri di guerra di posizione e di guerra di logoramento.
Allo scoppio del conflitto, l'Italia si dichiarò neutrale. Successivamente, però, le forze politiche e l'opinione pubblica si divisero sul problema dell'intervento in guerra contro gli imperi centrali. Erano interventisti: i gruppi della sinistra democratica e alcune frange eretiche del movimento operaio, i nazionalisti, alcuni ambienti liberal-conservatori. Erano neutralisti: la maggioranza dello schieramento liberale, che faceva capo a Giolitti, il mondo cattolico, i socialisti. Contrarie alla guerra erano le masse operaie e contadine, mentre i ceti borghesi e gli intellettuali erano per lo più a favore dell'intervento. Ciò che determinò l'entrata in guerra (maggio 1915) fu la convergenza tra la pressione della piazza e la volontà del sovrano, del capo del governo e del ministro degli Esteri.
Nel 1915-16, la guerra sui fronti italiano e francese si risolse in una immane carneficina, senza che nessuno dei due schieramenti riuscisse a conseguire risultati significativi. Più alterne furono le vicende sul fronte orientale, dove gli imperi centrali ottennero alcuni importanti successi.
Sul piano tecnico, la trincea fu la vera protagonista del conflitto: la vita monotona ma pesante che vi si svolgeva era interrotta solo, di quando in quando, da grandi e sanguinose offensive, prive di risultati decisivi. Da ciò, soprattutto nei soldati semplici, uno stato d'animo di rassegnazione e apatia che a volte sfociava in forme di insubordinazione. Altra novità fu l'utilizzazione di nuove armi: gas, aerei, carri armati, sottomarini.
Il conflitto trasformò profondamente la stessa vita civile dei paesi coinvolti. In campo economico si dilatò enormemente l'intervento statale, teso a garantire le risorse necessarie allo sforzo bellico. Il potere dei governi fu largamente condizionato da quello dei militari e, in genere, tutta la società fu soggetta a un processo di "militarizzazione". Col protrarsi del conflitto si rafforzarono i gruppi socialisti contrari ad esso, divisi però tra il pacifismo dei riformisti e la proposta dei rivoluzionari di utilizzare la guerra come occasione per la rivoluzione.
Il 1917 fu l'anno più difficile della guerra, soprattutto per l'Intesa: molti furono i casi di manifestazioni popolari contro il conflitto e di ribellione fra le stesse truppe. Questo clima di stanchezza (espresso anche dall'iniziativa di pace lanciata senza successo dal papa) si riscontrava anche in Italia. La demoralizzazione e la stanchezza delle truppe favorirono la vittoria degli austro-tedeschi dell'ottobre '17 (Caporetto), dovuta comunque anzitutto ad errori dei comandi italiani.
Sempre nel 1917 si verificarono due avvenimenti di decisiva importanza. In Russia dopo la caduta dello zar, in marzo, iniziò un processo di dissoluzione dell'esercito; dopo la rivoluzione di novembre, il paese si ritirò dal conflitto. In aprile gli Stati Uniti entrarono in guerra con l'Intesa, dando al conflitto, per volontà del presidente Wilson, una nuova connotazione ideologica "democratica".
Anche grazie alla superiorità militare conseguita con l'intervento americano, nel novembre 1918 la guerra terminava con la vittoria dell'Intesa: un esito cui contribuirono in larga misura la dissoluzione interna dell'Austria-Ungheria (causata dal distacco delle varie nazionalità) e la rivoluzione scoppiata in Germania.
Alla conferenza della pace, che si tenne a Versailles, il compito dei vincitori si rivelò difficilissimo. Nelle dure condizioni imposte alla Germania risultò evidente il contrasto fra l'ideale di una pace democratica e l'obiettivo francese di una pace punitiva. La carta dell'Europa fu profondamente mutata, soprattutto in conseguenza della dissoluzione dell'Impero asburgico, che permise la nascita di nuovi Stati. L'ideale wilsoniano di un organismo internazionale che potesse evitare guerre future in sostanza non si realizzò: la Società delle nazioni nacque minata da profonde contraddizioni (anzitutto la mancata adesione degli Stati Uniti).
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