30.3 La fine della "grande alleanza"
Le ostilità non erano ancora cessate in Europa e in Asia e già si delineavano nettissimi i contrasti fra le due maggiori potenze vincitrici nel diverso approccio ai problemi della pace. Gli Stati Uniti, che godevano di un primato economico soverchiante e avevano sofferto meno degli altri gli effetti della guerra, puntavano più alla ricostruzione e alla ricerca di uno stabile ordine mondiale che non alla punizione dei vinti. Per l'Unione Sovietica, che aveva invece subito perdite e devastazioni spaventose, si trattava innanzitutto di esigere il prezzo della vittoria in termini politici, economici e soprattutto di sicurezza. Ciò implicava il bisogno di veder legittimato il suo ruolo di grande potenza, l'esigenza di non avere nazioni ostili ai confini (il che valeva particolarmente per la Polonia), nonché un'insistenza martellante sulla questione delle riparazioni, che avevano per l'Urss un valore non solo pratico, ma anche simbolico.
Nonostante l'esistenza di questi, e di altri, gravi contrasti di fondo, Roosevelt si era convinto, nella pratica degli incontri diretti con Stalin, della possibilità di mantenere aperto il dialogo con l'Urss. Visto che la presenza sovietica nei paesi danubiani e balcanici, derivante dagli sviluppi del conflitto, non poteva essere scalzata a meno di scatenare un'altra guerra, tanto valeva rinunciare ad aprire un confronto con l'Urss nella sua "sfera di influenza" e cercare di giungere a un ragionevole compromesso. Le esigenze di sicurezza sovietiche - che Roosevelt riteneva per molti versi legittime - avrebbero potuto essere assicurate, nei paesi dell'Europa orientale, da regimi favorevoli all'Urss ma non necessariamente "sovietizzati". Si trattava insomma di creare un nuovo ordine europeo in cui, ferma restando l'egemonia degli Usa, anche l'Urss avrebbe avuto un ruolo importante, presentandosi come forza d'ordine in un'area tradizionalmente turbolenta. Questo "grande disegno" di cooperazione fra Occidente e Unione Sovietica morì con Roosevelt, proprio quando si apriva la sua fase decisiva di verifica. L'avvento di Harry Truman alla presidenza degli Stati Uniti, nell'aprile '45, coincise con un brusco cambiamento del clima e con un generale irrigidimento americano nei confronti dei sovietici.
Già alla conferenza di Potsdam (luglio-agosto '45) emersero chiaramente i nodi fondamentali del contrasto: il futuro della Germania sconfitta e gli sviluppi in Europa orientale, dove già stava prendendo corpo il disegno staliniano di assoggettamento. Negli Stati di quell'area occupati dall'Armata rossa, le possibilità che l'influenza sovietica si affermasse nel rispetto della volontà popolare erano pressoché inesistenti. Per imporre la propria egemonia, l'Urss non trovò così altro mezzo che imporre al potere i partiti comunisti locali, con l'appoggio dell'esercito sovietico e con una serie di crescenti forzature sui meccanismi democratici.
Ciò non poteva lasciare indifferenti le potenze occidentali. Nel marzo 1946, Churchill (che aveva perso pochi mesi prima la guida del governo, ma conservava intatto il suo prestigio personale) pronunciò a Fulton, negli Stati Uniti, un discorso che ebbe un'enorme risonanza, in cui denunciava il comportamento dei sovietici in Europa orientale: "Da Stettino, sul Baltico, a Trieste, sull'Adriatico, una cortina di ferro è calata sul continente. [...] Questa non è certo l'Europa liberata per costruire la quale abbiamo combattuto". Stalin replicò dando a Churchill del guerrafondaio e paragonandolo a Hitler. La "grande alleanza" era ormai in frantumi e il processo negoziale sui trattati di pace ne subì le conseguenze.
Alla conferenza di Parigi, che si tenne fra il luglio e l'ottobre del 1946, si giunse a un accordo tra i vincitori solo relativamente ai trattati con l'Italia, la Bulgaria, la Romania, l'Ungheria e la Finlandia. Furono anche ratificati, nonostante l'assenza di un accordo generale, i nuovi confini fra Urss, Polonia e Germania: l'Unione Sovietica incamerava le ex repubbliche baltiche (Estonia, Lituania e Lettonia), parte della Polonia dell'Est e della Prussia orientale; la Polonia, a sua volta, si rifaceva a ovest a spese della Germania, portando il suo confine alla linea segnata dai fiumi Oder e Neisse. Rimaneva ancora irrisolto il problema del futuro della Germania, nodo principale dell'intero riassetto europeo.
Torna all'indice