32.7 La ricostruzione economica
Con le elezioni del 18 aprile '48, gli elettori italiani non solo scelsero il partito che avrebbe governato il paese negli anni a venire, ma si espressero anche in favore di un sistema economico e di una collocazione internazionale. Sul terreno della politica economica, le forze moderate - in particolare i liberali, che occuparono l'importantissimo ministero del Tesoro nei governi Bonomi e Parri e nel primo gabinetto De Gasperi - riuscirono a prendere il sopravvento fin dai primi mesi del dopo-liberazione, bloccando i tentativi delle sinistre di introdurre nel sistema alcuni elementi di trasformazione.
In generale, i governi postbellici evitarono di usare in modo incisivo gli strumenti di intervento sull'economia che erano stati creati negli anni successivi alla grande crisi. Si affermò invece una sorta di restaurazione liberista ispirata soprattutto dagli economisti di formazione prefascista, che vedevano nel dirigismo economico un prodotto dei regimi autoritari. A tutto questo i dirigenti della sinistra non seppero contrapporre una coerente linea alternativa: finché restarono al governo, comunisti e socialisti si limitarono sostanzialmente a un'azione di sostegno ai sindacati, di difesa dei salari e di tutela dell'occupazione, mediante il blocco dei licenziamenti.
Anche questa linea di resistenza cadde però a partire dal maggio '47, con l'estromissione delle sinistre dal governo e la formazione del nuovo gabinetto De Gasperi, in cui il ministero del Bilancio era tenuto dal liberale Luigi Einaudi. Mentre le sinistre, costrette all'opposizione, si impegnavano in un'impopolare battaglia contro il piano Marshall, Einaudi attuava una manovra economica che aveva come scopi principali la fine dell'inflazione, il ritorno alla stabilità monetaria e il risanamento del bilancio statale. La manovra si attuò su tre distinti livelli: una serie di inasprimenti fiscali e tariffari; una svalutazione della lira (da 225 a 350 lire per un dollaro) che doveva favorire le esportazioni e incoraggiare il rientro dei capitali, attirati dal cambio favorevole; una energica restrizione del credito che limitò la circolazione della moneta e costrinse imprenditori e commercianti a gettare sul mercato le scorte accumulate in attesa di un aumento dei prezzi.
Nel complesso, la linea Einaudi ottenne i risultati che si era prefissa: la lira recuperò potere d'acquisto, i capitali esportati rientrarono in Italia (soprattutto dopo le elezioni del '48), i ceti medi risparmiatori riacquistarono fiducia, gli stessi salariati si giovarono del calo dei prezzi. Ma l'operazione ebbe forti costi sociali, soprattutto sul versante della disoccupazione che, abolito il blocco dei licenziamenti, superò nel '48 i due milioni di unità. I fondi del piano Marshall (1300 milioni di dollari fra il '48 e il '51) furono utilizzati per finanziare le importazioni di derrate alimentari e materie prime, ma non per sviluppare la domanda interna: alla fine del '48, né la produzione agricola né quella industriale avevano ancora raggiunto i livelli di prima della guerra. La ricostruzione si attuò dunque nel segno dell'ortodossia finanziaria, senza nessuna concessione alle politiche "keynesiane", che pure erano largamente praticate in tutto il mondo occidentale ed erano incoraggiate dalla stessa amministrazione americana. D'altro canto, nemmeno la "restaurazione liberista" poté attuarsi completamente. Gli strumenti di controllo dell'economia furono sottoutilizzati, ma non cancellati: l'Iri fu potenziato con nuovi finanziamenti e l'Agip, l'ente petrolifero di Stato, fu rilanciato dalla scoperta di giacimenti di idrocarburi in Val Padana.
Torna all'indice