5.2 I fattori dinamici
Nell'Europa della prima metà dell'800, accanto agli elementi di arretratezza e di continuità col passato che abbiamo appena descritto, operavano anche alcuni importanti fattori di crescita e di progresso. Il primo e il più evidente era dato dall'aumento della popolazione, che in mezzo secolo crebbe di quasi il 50%, passando dai circa 190 milioni del 1800 agli oltre 270 del 1850. Una crescita continua e generalizzata, anche se non uniformemente distribuita (in Francia, ad esempio, l'incremento fu di circa il 25% - da 28 a 35 milioni -, mentre sfiorò il 100% in Gran Bretagna, i cui abitanti - Irlanda esclusa - passarono da 10,5 a quasi 21 milioni). Una crescita che si inseriva in una tendenza di lungo periodo, cominciata nel '700 e destinata a protrarsi fino alla metà del secolo XX.
Le cause di questo grande movimento demografico sono complesse e ancora non del tutto chiarite. In generale, la crescita della popolazione è imputabile più al calo della mortalità che all'aumento della natalità, e dunque va sicuramente collegata a una minore incidenza delle carestie e delle epidemie: minore incidenza dovuta, a sua volta, ai sia pur lenti progressi della medicina e dell'igiene e alle accresciute possibilità di intervento in materia sanitaria da parte di poteri statali più forti e più efficienti che in passato. Ulteriori effetti positivi ebbero anche le maggiori opportunità di lavoro offerte alla popolazione attiva dalle nuove attività industriali e dalle nuove terre da colonizzare oltre gli oceani (le Americhe, il Sud Africa e l'Australia).
Se l'aumento della popolazione era in questo senso il sintomo innegabile di un progresso economico e civile, per altro verso esso costituiva un ulteriore fattore di sviluppo, in quanto determinava un continuo allargamento del mercato. Anche per questo motivo, negli anni 1815-50, che pure furono anni di prezzi tendenzialmente calanti (e quindi di minori profitti per le imprese), gli indici della produzione agricola e manifatturiera e quelli del commercio internazionale andarono sempre crescendo, tranne che nei periodi di crisi già ricordati.
Un altro fattore di crescita della società europea fu rappresentato dal progresso scientifico. La crisi del razionalismo illuminista (
1.7) non comportò alcuna interruzione nello sviluppo della ricerca. Anzi, la crescita delle istituzioni culturali di Stato (università, istituti superiori, accademie), eredità fra le più positive dell'età napoleonica, offrì agli scienziati, soprattutto in Francia e in Germania, la possibilità di fruire di strutture più adeguate e di uno status sociale meglio definito. In questo periodo si verificarono numerose scoperte scientifiche importanti. Alcune - come quelle del francese Carnot sulla termodinamica, quelle del tedesco Gauss sul calcolo delle probabilità, o come gli studi del russo Lobacevskij sulle "geometrie non euclidee" - avevano una rilevanza essenzialmente teorica. Altre - come quelle dell'inglese Faraday sui campi magnetici o quelle, già citate, del tedesco Liebig sulla chimica organica - avrebbero prodotto i loro maggiori effetti pratici solo nella seconda metà del secolo.
Nel campo delle scienze applicate, la novità più rivoluzionaria fu certamente l'uso della
macchina a vapore - grande protagonista della rivoluzione tecnologica della fine del '700 - come strumento di locomozione e di trasporto. La prima nave a vapore fu costruita nel 1803 dallo statunitense Robert Fulton e impiegata fin dal 1807 per la navigazione fluviale fra New York e Albany. Le prime locomotive furono realizzate in Gran Bretagna più o meno negli stessi anni: il tipo più perfezionato - quello costruito da George Stephenson nel 1813 - fu subito usato per il trasporto del carbone in una miniera.
L'invenzione della locomotiva e l'affermazione delle ferrovie si possono considerare come una conseguenza diretta della rivoluzione industriale inglese, in particolare del grande sviluppo assunto dall'industria carbonifera. Fu l'esigenza di trasportare quantità sempre maggiori di carbone dalle miniere ai luoghi di imbarco, o direttamente alle industrie consumatrici, a suggerire l'idea di far viaggiare i vagoni contenitori su rotaie fisse di metallo e di farli trainare da macchine a vapore mobili (le locomotive). Il risparmio che così si otteneva, rispetto al trasporto su carri a trazione animale attraverso strade spesso accidentate e sconnesse, era tale da incoraggiare gli investimenti assai elevati che erano necessari per la costruzione di vere e proprie linee ferroviarie su percorsi sempre più lunghi. La prima linea, realizzata nel 1825 - la Stockton-Darlington, lunga 17 chilometri - serviva a collegare alla costa la miniera di Durham, presso Newcastle, nell'Inghilterra del Nord. Il primo collegamento fra due importanti centri urbani, concepito anche per il trasporto dei passeggeri, fu la linea Liverpool-Manchester, ultimata nel 1830.
Nel ventennio successivo furono costruiti in Gran Bretagna 11.000 chilometri di ferrovie, che già costituivano l'ossatura di un'efficiente rete nazionale. Anche gli altri paesi europei e gli Stati Uniti cominciarono in questi anni a progettare e a costruire treni e strade ferrate. Ma solo gli Stati Uniti raggiunsero e superarono la Gran Bretagna per estensione assoluta delle linee (15.000 chilometri circa); e solo il Belgio (grazie alle dimensioni ridotte e alla configurazione pianeggiante del suolo) riuscì a darsi una rete di collegamenti pressoché completa. Negli altri Stati le costruzioni ferroviarie procedettero dapprima abbastanza a rilento e solo dopo la metà del secolo conobbero un vero e proprio boom su scala continentale. Comunque, già negli anni '30 e '40, la locomotiva e la ferrovia divennero - per le velocità, all'epoca quasi incredibili, che consentivano di realizzare e per lo sconvolgimento traumatico che introducevano nel paesaggio rurale - una specie di simbolo del progresso. E costituirono anche un potente fattore coadiuvante per il diffondersi dell'industrializzazione: infatti lo sviluppo delle ferrovie, oltre a offrire nuove possibilità di trasportare merci in mercati lontani, stimolava direttamente la produzione delle industrie siderurgiche e meccaniche.
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