4.2 La rivoluzione di luglio in Francia
La rivoluzione che scoppiò a Parigi nel luglio 1830 fu la diretta conseguenza del tentativo messo in atto dal re Carlo X e dagli ambienti ultras di restringere il più possibile le libertà costituzionali garantite dalla Carta del '14 e, più in generale, di mettere in atto quella restaurazione integrale alla quale Luigi XVIII aveva saggiamente rinunciato quando la monarchia borbonica era stata reinsediata sul trono di Francia.
Divenuto re nel 1824, Carlo X aveva subito varato una serie di provvedimenti che miravano a rafforzare il ruolo del clero e ad accrescere il peso dell'aristocrazia: più importante di tutti, la cosiddetta legge del miliardo, che impegnava una parte cospicua delle finanze statali (per una cifra stimata, appunto, attorno al miliardo di franchi) per il completo risarcimento di tutti gli aristocratici espropriati dei loro beni nel periodo rivoluzionario. Queste scelte avevano però suscitato la reazione di larga parte dell'opinione pubblica. Contro la politica di Carlo X si schierarono non solo, com'era ovvio, i democratici che si richiamavano all'esperienza giacobina, non solo gli intellettuali liberal-moderati (come Benjamin Constant, il filosofo Victor Cousin e i più giovani Adolphe Thiers e François Guizot) che erano stati fra i maggiori protagonisti del dibattito politico-culturale nell'età della Restaurazione; ma anche la grande borghesia degli affari e della finanza, che aveva i suoi esponenti più noti nei banchieri Laffitte e Périer, e un'ala consistente della stessa aristocrazia.
Nelle elezioni del 1827, le forze di opposizione ottennero una netta maggioranza alla Camera. Il re, dopo aver seguito per qualche tempo una linea di compromesso con le forze liberal-moderate, scelse la strada dello scontro col potere legislativo. Nell'estate del '29, chiamò alla guida del governo il principe di Polignac, capofila degli ultras. Qualche mese dopo (maggio 1830) sciolse la Camera convocando nuove elezioni e contemporaneamente cercò un diversivo in politica estera inviando, all'inizio di luglio, un corpo di spedizione in Algeria. L'occupazione di Algeri, che costituì la premessa per la successiva espansione francese in Nord Africa, non ottenne però i risultati sperati. Nelle elezioni che si tennero subito dopo, l'opposizione fece ulteriori progressi. A questo punto Carlo X e il suo primo ministro attuarono un vero e proprio colpo di Stato, emanando quattro ordinanze che sospendevano la libertà di stampa, scioglievano la Camera appena eletta, modificavano la legge elettorale rendendola ancora più restrittiva e convocavano nuove elezioni.
Subito dopo la pubblicazione delle ordinanze, il popolo di Parigi scese in piazza, come non accadeva più dai tempi della grande rivoluzione, e, dopo tre giorni di duri scontri con le truppe regie (27, 28 e 29 luglio), costrinse Carlo X ad abbandonare la capitale. Il 29 luglio le camere riunite in seduta comune dichiaravano la decadenza della dinastia borbonica e nominavano luogotenente del regno
Luigi Filippo d'Orléans, cugino del re appena deposto e nipote di quel Filippo d'Orléans, detto "Filippo Egalité", che quarant'anni prima, unico fra i principi del sangue, aveva abbracciato la causa della rivoluzione.
La scelta di Luigi Filippo - che era stato, negli anni della Restaurazione, uno dei punti di riferimento dell'aristocrazia "illuminata" e, in genere, dei gruppi liberal-moderati - andava incontro in qualche modo alle richieste della piazza, che chiedeva prima di tutto la cacciata dei Borbone. Ma d'altra parte aveva lo scopo di bloccare un processo rivoluzionario di cui erano in molti a temere gli sviluppi: protagoniste delle tre gloriose giornate di luglio erano state infatti le masse popolari, soprattutto artigiane, guidate dai club repubblicani e giacobini.
Il 9 agosto, Luigi Filippo fu proclamato dal Parlamento "re dei francesi per volontà della nazione": una formula che conciliava il principio monarchico con quello della sovranità popolare. Il tricolore della Francia rivoluzionaria tornò a essere la bandiera nazionale. Fu varata una nuova costituzione che ricalcava le linee della Carta del ' 14, ma accresceva il controllo del Parlamento sul potere esecutivo, allargava il diritto di voto, in misura peraltro modesta (il corpo elettorale, sempre definito in base al censo, passava da meno di 100.000 a circa 170.000 persone) e realizzava una più netta separazione fra Stato e Chiesa. La guida del governo fu affidata a un uomo dell'alta borghesia, il banchiere Laffitte. A capeggiare la Guardia nazionale, ricostituita nei giorni dell'insurrezione, fu chiamato un superstite dell'89, il vecchio generale La Fayette. Un altro grande vecchio, l'intramontabile Talleyrand, sarebbe stato incaricato di lì a poco di una delicata missione diplomatica a Londra. La monarchia di luglio nasceva dunque sotto il segno di un moderato liberalismo. Le aspirazioni rivoluzionarie dei democratici dovevano per il momento essere accantonate.
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