9.8 Bismarck e la guerra austro-prussiana
Il problema del rafforzamento dell'esercito venne in primo piano all'inizio degli anni '60, quando il nuovo sovrano
Guglielmo I, succeduto nel '61 a Federico Guglielmo IV, cercò di far approvare dal Parlamento un progetto di riforma delle forze armate. Il progetto prevedeva, oltre a un consistente aumento degli organici, il prolungamento della ferma e il potenziamento dei quadri permanenti a scapito della "milizia territoriale" (Landwehr): ossia di quella parte dell'esercito che, reclutata su base locale e inquadrata da ufficiali di complemento (per lo più di origine borghese), aveva il compito di difendere il suolo nazionale in caso di invasione e incarnava, agli occhi dei democratici tedeschi, l'ideale del "cittadino soldato" e della "nazione armata". La maggioranza liberale del Parlamento prussiano, preoccupata per le implicazioni politiche della riforma non meno che per i suoi costi economici, si oppose però al progetto.
Non riuscendo a venire a capo dell'opposizione parlamentare, Guglielmo I decise di sfidarla apertamente e, nel 1862, nominò cancelliere (cioè capo del governo) il conte
Otto von Bismarck, allora ambasciatore a Parigi. Bismarck era un tipico esponente dell'ala più reazionaria degli Junker e non aveva mai fatto mistero della sua avversione alla democrazia e al liberalismo. Già fautore, in coerenza con le sue idee conservatrici, di una stretta alleanza con l'Impero asburgico, si era in seguito convertito alla tesi "piccolo-tedesca", ossia alla causa dell'unificazione della Germania senza l'Austria o contro di essa; ma intendeva giungere allo scopo senza fare la minima concessione agli ideali del '48, fidando unicamente nella potenza dello Stato prussiano. Nel momento in cui salì al potere si impegnò, dunque, a realizzare il progetto di riforma dell'esercito a prescindere dal consenso del Parlamento (infatti governò per tre anni facendo approvare il bilancio per decreto reale); e, in un celebre discorso programmatico, enunciò la sostanza della sua filosofia politica, proclamando di voler risolvere il problema dell'unità nazionale "non con discorsi né con deliberazioni della maggioranza [...] bensì col sangue e col ferro". Raramente un programma politico trovò più integrale applicazione. In pochi anni, l'uso spregiudicato della forza, unito all'abilità diplomatica, consentì alla Prussia di realizzare l'unificazione tedesca e di passare dalla posizione di ultima fra le cinque grandi potenze europee a un'indiscussa egemonia sul continente.
Il primo ostacolo sulla via dell'unificazione era costituito dall'Austria che, se da un lato era parte di un impero plurinazionale, era anche uno Stato tedesco, membro della Confederazione germanica, all'interno della quale esercitava da sempre un ruolo di primo piano. Il problema dei rapporti fra l'Austria e gli Stati della Confederazione - uniti alla Prussia nello Zollverein, ma soggetti anche all'influenza politica degli Asburgo - costituiva da tempo, e soprattutto dopo il '48, un ricorrente motivo di contrasto fra monarchia prussiana e Impero asburgico.
Il contrasto si fece acuto nel 1864-65, quando le due potenze, dopo essersi accordate per strappare alla Danimarca, con una rapida campagna militare, i ducati di Schleswig, Holstein e Lauenburg, entrarono in conflitto circa l'amministrazione dei territori conquistati: un problema che implicava quello più generale dell'assetto della Confederazione germanica. Prima di provocare il casus belli con l'occupazione militare dello Holstein (che era stato affidato provvisoriamente all'amministrazione austriaca), Bismarck svolse un abile lavoro di preparazione diplomatica, alleandosi col neocostituito Regno d'Italia (
11.5) e assicurandosi, oltre alla benevola neutralità della Russia, anche quella di Napoleone III, allettato dalla vaga promessa (peraltro mai mantenuta) di compensi territoriali e dalla speranza di un indebolimento di entrambi i contendenti. Dalla parte dell'Austria si schierarono molti Stati minori della Confederazione germanica spaventati dalla prospettiva di un assorbimento da parte della Prussia.
Cominciata nel giugno 1866, la guerra durò soltanto tre settimane. Mentre l'Italia impegnava, con scarsa fortuna, una parte delle forze imperiali, il rinnovato esercito prussiano si sbarazzava facilmente della resistenza degli Stati tedeschi confederati. Quindi penetrava in Boemia e, il 3 luglio, nella grande battaglia campale di
Sadowa, infliggeva agli austriaci una durissima sconfitta. Giocarono a favore dei prussiani la perfetta organizzazione dell'esercito, guidato dal generale von Moltke, la miglior qualità degli armamenti (le truppe erano dotate per la prima volta di fucili a retrocarica, che consentivano una superiore rapidità di tiro), la tempestività degli spostamenti dovuta a un razionale sfruttamento delle ferrovie. Fu, quella del '66, la prima delle numerose guerre di movimento che avrebbero reso celebre e temuta la macchina militare tedesca.
All'Austria, sconfitta senza possibilità di scampo e minacciata nella stessa capitale, non restò che chiedere l'armistizio. Si giunse così, alla fine di agosto, grazie anche alla mediazione di Napoleone III, alla firma della pace di Praga. L'Austria non subì mutilazioni territoriali, salvo quella del Veneto ceduto all'Italia. Ma dovette accettare lo scioglimento della vecchia Confederazione germanica, e dunque la fine di ogni sua influenza nell'Europa centro-settentrionale. Gli Stati tedeschi situati a nord del fiume Meno entrarono a far parte di una nuova Confederazione della Germania del Nord presieduta da Guglielmo I (tranne quattro che furono direttamente annessi alla Prussia). Quelli situati a sud del Meno, fra cui la Baviera, rimasero invece indipendenti.
Il trionfo di Bismarck ebbe immediate ripercussioni anche sulla politica interna prussiana. Una folta schiera di deputati si staccò dall'opposizione liberale per dar vita a un nuovo partito nazional-liberale. Il 3 settembre 1866, pochi giorni dopo la firma della pace di Praga, il Parlamento prussiano ratificava retroattivamente le spese effettuate fin allora dal governo senza l'approvazione della Camera. Quel voto rappresentò un evento decisivo nella storia della Germania moderna: con esso la borghesia liberale rinunciò in pratica a guidare il processo di unificazione nazionale e accettò di collocarsi in una posizione subalterna nei confronti della monarchia e dell'aristocrazia terriera. Diversamente da quanto era accaduto in Gran Bretagna e in Francia, lo storico contrasto fra la corona e gli organi elettivi si risolveva a favore della prima.
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