6.2 I moti del 1831
Le insurrezioni che scoppiarono all'inizio del 1831 nei Ducati di Modena e di Parma e in una parte dello Stato pontificio furono una diretta conseguenza della nuova situazione creatasi dopo la rivoluzione del luglio 1830 in Francia (
4.2). D'altro canto, però, quelle insurrezioni furono il risultato di una precedente trama settaria che aveva il suo centro nel Ducato di Modena e si giovava dell'ambiguo appoggio dello stesso duca Francesco IV.
Personaggio ambizioso e intrigante, il duca sperava - come già Carlo Alberto - di profittare di un eventuale sommovimento politico per diventare sovrano di un Regno dell'Italia centro-settentrionale. Per questo entrò in contatto con alcuni esponenti delle società segrete operanti nel Ducato: fra questi, Enrico Misley, avvocato e capo carbonaro collegato agli ambienti liberali francesi, e Ciro Menotti, imprenditore e commerciante, che lavorò per allargare allo Stato pontificio e alla Toscana la trama di una cospirazione destinata, nei suoi piani, a porre le premesse per un'Italia unita sotto una monarchia costituzionale. Francesco IV non era però l'uomo più adatto per realizzare progetti di questo genere. Quando, dopo lo scoppio della rivoluzione in Francia, si rese conto che l'Austria si sarebbe opposta a ogni mutamento dello status quo in Italia (forti contingenti di truppe furono in effetti ammassati nel Lombardo-Veneto), abbandonò rapidamente ogni idea di cospirazione. Ma al tempo stesso continuò a tenere i contatti con i liberali per poterli meglio controllare. Infine, nella notte del 3 febbraio 1831, quando tutto era pronto per l'insurrezione, fece arrestare i capi della congiura riuniti in casa di Ciro Menotti.
Era però troppo tardi per fermare il progetto rivoluzionario. Bloccata a Modena, la rivolta scoppiò il 4 febbraio a Bologna e si estese immediatamente a tutti i centri principali delle Legazioni pontificie, ossia la Romagna con Pesaro e Urbino, oltre alle attuali province di Bologna e Ferrara (territori che il papa amministrava non direttamente, ma per il tramite di "cardinali legati"). Dalle Legazioni il moto dilagò nel Ducato di Parma e in quello di Modena (da cui avrebbe dovuto aver inizio), costringendo alla fuga Francesco IV (che portò con sé Menotti prigioniero) e Maria Luisa.
Rispetto ai moti del '20-'21 - che avevano interessato solo il Piemonte e il Regno delle due Sicilie - le insurrezioni dell'Italia centro-settentrionale presentarono alcuni caratteri di novità. Questa volta a muoversi non furono tanto i militari, quanto i ceti borghesi appoggiati dall'aristocrazia liberale e sostenuti in qualche caso da una non trascurabile mobilitazione popolare (soprattutto nelle Legazioni, dove molto forte e diffusa era la protesta contro il malgoverno pontificio). Sia a Bologna sia nei Ducati, questa mobilitazione - che si manifestava essenzialmente attraverso dimostrazioni e tumulti di piazza - fu sufficiente ad aver ragione di un potere strutturalmente debole e poco preparato all'uso sistematico della repressione militare. Per quanto riguarda lo Stato pontificio, questa debolezza era accentuata dalla vacanza del trono pontificio, in quanto lo scoppio dei moti coincise col conclave da cui sarebbe stato eletto Gregorio XVI.
Un altro elemento di novità fu il tentativo - peraltro riuscito solo in parte - di coordinare le singole insurrezioni cittadine in un moto unitario: nelle Legazioni fu costituito un Governo delle province unite, con sede a Bologna, e fu organizzato un corpo di volontari col compito di marciare verso Roma. L'esito del moto fu però condizionato negativamente sia dal persistere delle divisioni municipaliste (Modena e Parma mantennero governi autonomi e non collaborarono allo sforzo militare delle Province unite), sia dal riproporsi del contrasto fra democratici e moderati: decisi i primi ad assumere subito l'iniziativa e a portare la lotta fin nel cuore dello Stato pontificio; favorevoli i secondi a una tattica attendista, che faceva assegnamento soprattutto sulla presunta opposizione della Francia a un intervento austriaco nella penisola.
In realtà, come già sappiamo, il regime orleanista non si impegnò in difesa delle rivoluzioni italiane. E il governo austriaco, una volta accertate le intenzioni di Luigi Filippo, poté procedere indisturbato a un nuovo intervento militare. Alla fine di marzo, dopo aver occupato i ducati senza quasi incontrare resistenza, l'esercito asburgico entrò nei territori pontifici e sconfisse a Rimini le forze degli insorti. Il ritorno al vecchio ordine fu accompagnato dall'inevitabile repressione. Ciro Menotti fu condannato a morte e impiccato su esplicite pressioni del duca di Modena. Anche il nuovo papa Gregorio XVI usò la mano pesante nei confronti degli insorti emiliani e romagnoli, che furono condannati a lunghissime pene detentive, quando non riuscirono a riparare all'estero per ingrossare le file dell'ormai numerosa emigrazione politica italiana.
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