25.4 La crisi in Europa
In Europa al declino delle attività produttive e commerciali si sovrappose una crisi finanziaria che ebbe le sue prime manifestazioni in Austria e in Germania, dove si giunse al collasso del sistema bancario. Alla crisi bancaria seguì una crisi monetaria. I crolli verificatisi in Austria e Germania provocarono un allarme incontrollato sulla solidità delle finanze inglesi (molti capitali britannici erano stati infatti investiti in quei due paesi) e sulla stessa tenuta della sterlina. Le banche inglesi dovettero far fronte a un precipitoso ritiro dei capitali stranieri e a ingenti richieste di conversione delle sterline in oro. Nel settembre 1931, esauritesi le riserve auree della Banca d'Inghilterra, dovette essere sospesa la convertibilità della sterlina e la valuta inglese fu svalutata: si trattò di un avvenimento che destò sensazione, giacché sanzionava emblematicamente la decadenza della Gran Bretagna dal ruolo di "banchiere del mondo". Analoghi provvedimenti di sospensione della convertibilità e di svalutazione vennero successivamente adottati da molti altri paesi, nella speranza che il deprezzamento della moneta favorisse le esportazioni e consentisse di aprire varchi nelle barriere doganali ovunque frapposte alla circolazione delle merci.
Sulla profondità e sulla durata della depressione influì negativamente anche la sostanziale impreparazione delle autorità politiche ad affrontare un cataclisma economico di quella portata. Quando la crisi ebbe inizio, tutti i governi dei paesi industrializzati ritennero di potersi affidare ai classici princìpi della scuola economica liberale: primo fra tutti quello del pareggio del bilancio. Per ottenere questi risultati, la spesa pubblica venne drasticamente tagliata (riducendo gli stipendi ai pubblici dipendenti e diminuendo le prestazioni sociali elargite dallo Stato) e furono imposte nuove tasse. Questi provvedimenti compressero ulteriormente la domanda interna, aggravando perciò la recessione e la disoccupazione. Solo nel 1933 l'economia europea cominciò a manifestare sintomi di miglioramento. Ma nella maggior parte dei paesi la ripresa fu molto lenta: un vero rilancio produttivo si ebbe solo alla fine del decennio e fu dovuto anche al generale incremento delle spese militari conseguente all'aggravarsi delle tensioni internazionali. In definitiva, fu solo col riarmo e la guerra che l'Europa e il mondo uscirono dalla grande depressione.
In Germania le conseguenze della crisi si fecero sentire più che in ogni altro Stato europeo, a causa della stretta integrazione che il sistema dei prestiti internazionali aveva creato fra l'economia statunitense e quella tedesca, ancora gravata dall'onere delle riparazioni. La crisi mise in gravi difficoltà il governo di coalizione allora guidato dai socialdemocratici, provocando un dissenso insanabile fra la Spd e i partiti di centro-destra circa il destino dei servizi sociali statali, che i moderati volevano ridimensionare sensibilmente. Nel marzo 1930 la guida del governo passò al leader del Centro cattolico Heinrich Brüning, che attuò una severissima politica di sacrifici, anche allo scopo di rivelare al mondo l'intollerabile onere che la Germania era condannata a sopportare per tener fede all'obbligo delle riparazioni. Lo scopo fu in parte raggiunto nel 1932, quando una conferenza internazionale ridusse sensibilmente l'entità delle riparazioni e ne sospese il versamento per tre anni (trascorsi i quali, comunque, i pagamenti non furono mai ripresi). Ma intanto la politica di Brüning aveva prodotto ben più tragici frutti: 6 milioni di lavoratori disoccupati facevano da sfondo alla rapida ascesa del movimento nazionalsocialista che, come si vedrà nel prossimo capitolo, seppe sfruttare abilmente il disagio e il risentimento largamente diffusi nella popolazione.
Anche in Francia la politica di austerità fu applicata con estremo rigore. Qui la crisi giunse in ritardo, nella seconda metà del '31, ma durò più a lungo (nel '38 la produzione non era ancora tornata ai livelli del '29) anche perché i governi vollero legare il loro prestigio alla difesa del franco, ritardando fino al '37 la svalutazione della moneta. La crisi economica coincise con un periodo di grande instabilità della situazione politica francese: fra l'ottobre del '29 e il giugno del '36 si succedettero ben diciassette governi, ora di centro-destra ora di centro-sinistra.
In Gran Bretagna il ministero guidato dal laburista Ramsay Mac Donald cercò di fronteggiare la crisi con un programma che prevedeva, fra l'altro, un drastico taglio del sussidio ai disoccupati. Questo programma incontrò però la ferma opposizione delle Trade Unions, nerbo del movimento laburista. A quel punto (agosto 1931) Mac Donald ruppe clamorosamente col suo partito e, seguito solo da una ridotta minoranza di deputati laburisti, si accordò con liberali e conservatori per la formazione di un "governo nazionale" di cui lui stesso assunse la presidenza. Fu sotto questo governo che la Gran Bretagna svalutò la sterlina e abbandonò la sua secolare tradizione liberoscambista, adottando un sistema di tariffe doganali che privilegiava gli scambi commerciali nell'ambito del Commonwealth (
28.3). Nel '33-'34 l'Inghilterra cominciava a uscire dalla crisi, con notevole anticipo rispetto agli altri paesi industrializzati.
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