12.7 Il Giappone feudale
A metà del secolo XIX, la società giapponese era ancora organizzata secondo uno schema tipicamente feudale. L'imperatore (mikado) era più che altro un capo religioso ed esercitava un potere puramente simbolico. Il governo del paese era da più di due secoli nelle mani di una dinastia di feudatari, i Tokugawa, che si trasmettevano per via ereditaria la carica di shogun: questi era nominalmente la suprema autorità militare e il più alto dignitario imperiale, in realtà una specie di sovrano assoluto, che amministrava direttamente molte zone del paese e teneva legati a sé, con un vincolo di vassallaggio, i grandi feudatari (daimyo) cui spettava il controllo sul restante territorio. I daimyo erano un gruppo estremamente ristretto (nell'800 non erano più di 250), godevano di poteri pressoché assoluti nei loro feudi, che occupavano a volte regioni molto estese, e disponevano di eserciti e burocrazie proprie. Al di sotto dei daimyo stavano i samurai, ossia la piccola nobiltà un tempo dedita al mestiere delle armi. Privati di una loro autonoma funzione sociale dalla lunga pace interna che era seguita all'avvento dei Tokugawa, i samurai costituivano un ceto relativamente numeroso (circa il 7% della popolazione), ma molto composito e irrequieto. Alcuni ricoprivano posti importanti nell'esercito e nella burocrazia; altri erano ridotti alla miseria e non di rado dediti al brigantaggio; pochissimi avevano scelto la strada delle attività mercantili, considerate indegne di un nobile.
Mercanti e artigiani costituivano nella società giapponese un gruppo numericamente debole e politicamente emarginato. Le poche industrie, per lo più dedite alla produzione di armi e navi da guerra, erano sotto il diretto controllo dello shogun. L'unica attività produttiva di rilievo, che occupava oltre l'80% della popolazione, era l'agricoltura: in particolare la coltura del riso basata, come in Cina, su sistemi di irrigazione piuttosto avanzati. I contadini, organizzati in comunità di villaggio, versavano tuttavia in condizioni di notevole disagio a causa della forte pressione fiscale esercitata dai daimyo, cui era dovuto fra l'altro un terzo del raccolto di riso. Una struttura economica e sociale così arcaica aveva potuto mantenersi - com'era accaduto in Cina - grazie all'assoluto isolamento in cui il paese era stato tenuto negli ultimi secoli. Non esistevano rapporti diplomatici o culturali fra il Giappone e l'Occidente. Il commercio con l'estero era vietato e solo il porto di Nagasaki era aperto ai mercanti stranieri.
L'isolamento fu rotto, verso la metà dell'800, dall'iniziativa delle potenze occidentali. A fare da battistrada furono questa volta gli Stati Uniti che, nel 1854, inviarono una squadra navale nelle acque giapponesi e chiesero formalmente allo shogun il libero accesso nei porti e l'apertura di relazioni commerciali. L'iniziativa americana - cui subito si unirono Gran Bretagna, Francia e Russia - trovò il Giappone del tutto impreparato. Lo shogun fu costretto a firmare nel 1858 una serie di accordi commerciali che assicuravano alle potenze occidentali ampie possibilità di penetrazione economica.
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