7.2 La rivoluzione di febbraio in Francia
Come già era accaduto nel 1830, il moto rivoluzionario ebbe il suo centro di irradiazione in Francia. La "monarchia liberale" di Luigi Filippo d'Orléans era certamente uno dei regimi europei meno oppressivi. Il sistema elettorale "censitario", che riservava cioè il diritto di voto solo a chi disponeva di un reddito (censo) abbastanza elevato (in tutto poco più di 200.000 cittadini su una popolazione di oltre trenta milioni di abitanti), non impediva all'opposizione democratica di far sentire la sua voce in Parlamento. La libertà di associazione era gravemente limitata; ma in compenso esisteva una stampa libera e alcuni giornali democratici svolgevano una funzione analoga a quella di partiti di opposizione. Il sistema di istruzione era fra i più progrediti di Europa: il tasso di analfabetismo era sceso, negli ultimi anni della monarchia di luglio, sotto il 45% (una percentuale superiore a quella della Gran Bretagna e della Prussia, ma molto inferiore a quella dei paesi mediterranei). L'incipiente sviluppo industriale aveva portato con sé la crescita di un ceto di speculatori e di affaristi, ma aveva anche determinato la formazione di forti nuclei di proletariato, concentrati soprattutto a Parigi e a Lione. Insomma, la stessa maturazione economica, civile e culturale della società francese, favorita dal regime liberale, faceva apparire sempre meno tollerabili i limiti oligarchici di quel regime e la politica ultramoderata praticata da Luigi Filippo e dal suo primo ministro Guizot.
Si andò così coalizzando un vasto fronte di opposizione che andava dai liberali progressisti ai democratici, dai bonapartisti ai socialisti, senza escludere alcune frange di opinione pubblica cattolica e legittimista. Per i democratici, in particolare, l'obiettivo da raggiungere era il suffragio universale, ossia la concessione del diritto di voto a tutti i cittadini maschi senza distinzione di reddito o di condizione sociale. Il suffragio universale era visto non solo come l'attuazione pratica del principio della sovranità popolare, ma anche come il mezzo più sicuro per realizzare gli ideali di giustizia sociale, dando voce agli autentici rappresentanti del popolo e spezzando il monopolio del privilegio economico. Nettamente minoritari in Parlamento, i democratici cercarono di trasferire la loro protesta nel "paese reale". Lo strumento scelto fu la cosiddetta campagna dei banchetti: riunioni svolte in forma privata che aggiravano i divieti governativi e consentivano ai capi dell'opposizione e ai loro seguaci di tenersi in contatto e di far propaganda per la riforma elettorale.
Fu proprio la proibizione di un banchetto, previsto per il 22 febbraio a Parigi, a innescare la crisi rivoluzionaria. Lavoratori e studenti parigini, già mobilitati da giorni, organizzarono una grande manifestazione di protesta. Per impedirla, il governo ricorse alla Guardia nazionale, il corpo volontario di cittadini armati che era stato istituito nel 1789 (col doppio scopo di mantenere l'ordine pubblico e di difendere la rivoluzione) ed era rinato dopo l'insurrezione del luglio 1830. Espressione della borghesia cittadina, la Guardia nazionale era stata impiegata più volte per reprimere agitazioni o sommosse operaie. Ma questa volta, chiamata a difendere un governo largamente impopolare, finì col fare causa comune con i dimostranti. Il successivo intervento dell'esercito radicalizzò la situazione e rese impossibile qualsiasi soluzione di compromesso. Dopo due giorni di barricate e di violenti scontri, che provocarono più di trecentocinquanta morti, gli insorti erano padroni della città. Il 24 febbraio, dopo un vano tentativo di placare la piazza con la destituzione di Guizot, Luigi Filippo abbandonò Parigi. La sera stessa all'Hotel de Ville (il municipio parigino, naturale punto di riferimento di tutte le rivoluzioni) veniva costituito un governo che si pronunciava decisamente a favore della repubblica e annunciava la prossima convocazione di un'Assemblea costituente da eleggere a suffragio universale.
Nel governo figuravano tutti i capi dell'opposizione democratico-repubblicana (il leader più in vista, l'avvocato parigino Alexandre Ledru-Rollin, ebbe la responsabilità degli Interni, mentre gli Esteri furono affidati al poeta Alphonse de Lamartine) ed erano presenti anche due socialisti: Louis Blanc e l'operaio Alexandre Martin, detto Albert. L'inclusione di due rappresentanti operai nel governo - un fatto nuovo e sconvolgente nella storia europea - rifletteva la forza del popolo parigino, protagonista delle giornate di febbraio, e riaffermava la vocazione "sociale" della neonata repubblica.
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