35. Problemi e conflitti del mondo contemporaneo
35.1 Il tempo del "riflusso"
Le trasformazioni economiche e sociali degli anni '70 si sono accompagnate, nelle società industriali dell'Occidente, a un mutamento profondo delle ideologie e della cultura politica corrente. Si può affermare, schematizzando, che negli anni '60 e nei primi anni '70 la cultura di sinistra era stata (soprattutto per le generazioni più giovani), la cultura egemone: sia nella versione riformista, che accettava la "società del benessere" e cercava di guidarla verso traguardi di maggiore giustizia sociale; sia nella versione rivoluzionaria, che rifiutava quella società e contestava il riformismo gradualista. Ma entrambe le versioni della cultura di sinistra si basavano sul presupposto di un'illimitata capacità espansiva del sistema economico e sulla possibilità di controllare i processi sociali con gli strumenti della politica. A partire dagli anni dello shock petrolifero e della crisi economica, queste e altre certezze hanno cominciato a venir meno. La crisi energetica ha messo in discussione la prospettiva di uno sviluppo industriale continuo. Le trasformazioni dell'economia legate alla rivoluzione elettronica hanno ridimensionato il peso numerico e politico della classe operaia. Inoltre le vicende recenti dei paesi comunisti hanno mostrato l'incapacità dei regimi ispirati al modello leninista e collettivista di offrire soluzioni accettabili ai problemi della società contemporanea.
L'immagine dell'Urss - già fortemente incrinata dai fatti atti di Praga del '68 - si è venuta progressivamente deteriorando nel corso degli anni '70, sia per le continue denunce degli esuli sulla repressione interna, sia per l'intervento militare in Afghanistan (di cui si parlerà più avanti), sia per gli insuccessi in campo economico. Gli stessi partiti comunisti dell'Europa occidentale hanno accentuato in questo periodo le prese di distanza dall'Urss. Delusioni non meno gravi sono venute ai militanti di sinistra da quei regimi rivoluzionari che erano sembrati offrire, negli anni '60, esempi più attraenti e più dinamici rispetto a quello dell'Unione Sovietica: la misteriosa morte di Lin Piao e il brusco riflusso della rivoluzione culturale in Cina (seguito dalla radicale svolta del dopo-Mao); i terribili massacri nella Cambogia dei khmer rossi; i caratteri autoritari del regime imposto dai vincitori nel Vietnam unificato; i conflitti sempre più frequenti fra Stati comunisti: tutte queste vicende - cui avremo modo di accennare più avanti - hanno fatto via via impallidire molti miti su cui per parecchi anni si erano alimentate le speranze dei movimenti rivoluzionari nelle società industrializzate.
Ma la crisi non ha risparmiato neppure il versante riformista della sinistra occidentale. Il modello del Welfare State, dopo essersi imposto nei suoi aspetti essenziali in tutte le democrazie occidentali, ha cominciato a mostrare, alla fine degli anni '70, evidenti segni di difficoltà. I costi dei servizi sociali (assistenza medica, istruzione gratuita, sussidi di disoccupazione, pensioni) sono diventati più difficili da sopportare: sia per il rallentamento dello sviluppo, sia per il continuo allargamento dell'area dei soggetti assistiti, conseguenza a sua volta dell'elevata disoccupazione, dell'accorciamento del ciclo lavorativo nella vita dell'uomo (oggi si tende a entrare nel mondo del lavoro più tardi e a uscirne più presto), dello stesso aumento della vita media. La crescita dei costi ha costretto i governi a portare a livelli molto alti la pressione fiscale. E ciò ha suscitato, in vasti settori dell'opinione pubblica e della stessa scienza economica, un crescendo di critiche contro lo Stato assistenziale, e in genere contro l'eccessivo "statalismo" nella gestione dell'economia, e un parallelo ritorno in auge delle dottrine liberiste e del monetarismo (la teoria che tende a limitare l'intervento statale al controllo dell'emissione e della circolazione di moneta). L'avvento al potere dei conservatori, con Margaret Thatcher, in Gran Bretagna (1979) e l'elezione alla presidenza degli Stati Uniti del repubblicano Ronald Reagan (1980) - l'una e l'altro presentatisi agli elettori con un programma decisamente liberista e con promesse di tagli delle spese e delle tasse - sono stati anche il prodotto di questa ventata antistatalista e antifiscale.
Il "grande riflusso" (questo il termine usato in Italia per indicare la caduta dei più ambiziosi progetti di trasformazione politica e sociale) è però un fenomeno più vasto, che attraversa i gruppi tradizionali e coinvolge anche, al loro interno, le forze di sinistra. Ciò che viene messo in discussione non è solo la validità di questo o quel programma, ma la stessa capacità dei grandi sistemi ideologici (in particolare di quelli orientati alla trasformazione rivoluzionaria della società) di fornire risposte valide alle esigenze reali della gente.
Questo calo di fiducia nelle ideologie e nella stessa militanza politica ha avuto ed ha esiti diversi: il rinchiudersi nella dimensione "privata"; la riscoperta di gerarchie e di valori tradizionali, come la nazione e, più spesso, la religione; ma anche la ricerca di nuove forme di mobilitazione e di aggregazione più legate ai temi della vita quotidiana: si pensi alla mobilitazione femminista sul problema della maternità e dei rapporti fra i sessi, o a quella dei movimenti ecologisti sulle questioni ambientali.
La generale caduta della tensione politica (o meglio di un certo tipo di tensione politica) verificatasi negli anni '70 ha finito col lasciare isolate (ma proprio per questo col rendere più esasperate e incontrollabili) quelle punte estreme dei movimenti rivoluzionari dei paesi industrializzati che, dall'inizio del decennio, avevano cominciato a praticare forme più o meno organizzate di lotta armata. Si è così assistito, in alcuni paesi dell'Europa occidentale, a una drammatica esplosione di
terrorismo politico. Un terrorismo attuato da piccoli gruppi clandestini fortemente militarizzati (le Brigate rosse in Italia, la Raf, ossia Frazione dell'Armata rossa, attiva in Germania attorno alla metà degli anni '70, il gruppo di Action directe in Francia, di formazione più recente) che agivano per lo più sulla base di parole d'ordine ispirate a una versione estremizzata del marxismo-leninismo e colpivano con gesti "esemplari" (attentati dinamitardi, omicidi, ferimenti, sequestri) quei personaggi o quelle istituzioni che ai loro occhi più si identificavano col sistema da abbattere. Un terrorismo molto diverso da quello - essenzialmente individualistico - degli anarchici di fine '800, e invece ispirato nel modello organizzativo - e in qualche caso anche collegato - a certi movimenti di liberazione del Terzo Mondo (soprattutto a quello palestinese) o a quelli nati dalle lotte delle minoranze etniche nella stessa Europa (come l'Ira in Irlanda del Nord o i separatisti baschi dell'Eta in Spagna), privo però della base di consenso di cui quei movimenti si giovano.
Poco seguiti dalle masse lavoratrici in nome delle quali affermavano di agire, i gruppi terroristici italiani e tedeschi sono stati sconfitti prima politicamente, per il fallimento del loro tentativo di mobilitare la classe operaia, poi sul piano dell'azione repressiva, con l'arresto di buona parte dei loro componenti, tra la fine degli anni '70 e l'inizio degli anni '80. Ma il terrorismo come fenomeno internazionale - spesso finanziato e strumentalizzato da Stati contro altri Stati - è ancora vivo; si è espresso attraverso una serie di azioni sanguinose e di gesti clamorosi (come l'attentato a papa Giovanni Paolo II, nel maggio 1981, da parte di un killer turco facente parte di un gruppo di estrema destra, ma sospettato anche di legami coi servizi segreti dell'Est); e si dimostra capace di colpire una società che appare tanto più vulnerabile quanto più è "aperta" e complessa.
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