18.5 La Germania guglielmina
La fine del lunghissimo cancellierato di Otto von Bismarck, nel 1890, parve dover segnare una svolta anche nella politica interna tedesca. Erano stati soprattutto motivi di politica interna (in particolare la vittoria socialdemocratica nelle elezioni del 1890) a determinare la caduta del "cancelliere di ferro". Lo stesso imperatore
Guglielmo II aveva annunciato di voler inaugurare un "nuovo corso" (Neue Kurs) nella vita del paese e aveva apertamente criticato le leggi eccezionali contro i socialisti (che in effetti non furono più rinnovate dopo il 1890).
Le speranze in una evoluzione liberale del sistema andarono però deluse. L'imperatore, messe da parte le aperture vagamente democratiche degli esordi, mostrò ben presto una chiara inclinazione alle soluzioni autoritarie e all'esercizio personale del potere. L'unico mutamento di rilievo fu costituito dal fatto che nessuno dei cancellieri succedutisi alla guida del governo del Reich ebbe le capacità e la personalità che avevano permesso a Bismarck di imporsi allo stesso potere imperiale. Per il resto, i cancellieri continuarono a governare "al di sopra dei partiti" e a render conto del loro operato all'imperatore e allo stato maggiore più che al Parlamento. Insomma, il passaggio dall'età bismarckiana all'età "guglielmina" non comportò nessun mutamento sostanziale nel gruppo di potere dominante, se non forse per un peso più accentuato e più scoperto dei vertici militari (in particolare del capo della flotta ammiraglio von Tirpitz) e dei gruppi di interesse ad essi collegati. Anche i nuovi orientamenti di politica estera, affermatisi soprattutto a partire dagli ultimi anni dell'800 - quando la Germania imboccò la via della Weltpolitik (politica mondiale) e diede il via al riarmo navale - contribuirono a rinsaldare l'alleanza fra la casta agraria e militare degli Junker e gli ambienti della grande industria. Un'industria che era sempre più dominata dai cartelli o dalle imprese giganti e che vantava ritmi di sviluppo tecnologico e di crescita produttiva paragonabili solo ai contemporanei progressi dell'industria statunitense.
La coscienza di questa superiorità accentuò nella classe dirigente, ma anche nel popolo, le tendenze nazionaliste e imperialiste. Pur essendo un paese ricco di risorse naturali, la Germania, priva com'era di un grande impero coloniale, non aveva una disponibilità di materie prime paragonabile a quella dell'Impero britannico, degli Stati Uniti o dello stesso Impero russo. Di qui la volontà di modificare a proprio vantaggio la distribuzione mondiale delle risorse e gli equilibri sullo scacchiere planetario: il che, essendo ormai compiuta la spartizione dei continenti extraeuropei, portava fatalmente la Germania ad assumere una posizione antagonistica rispetto alle altre potenze imperialiste.
La spinta nazionalista e aggressiva insita nella politica estera tedesca finì col coinvolgere in varia misura tutte le maggiori forze politiche. Non solo i gruppi conservatori e nazional-liberali, ma anche i cattolici del Centro e i gruppi liberal-progressisti si allinearono sostanzialmente con le scelte dei governi e degli stati maggiori. L'unica autentica forza di opposizione, la socialdemocrazia, restò per tutta l'età guglielmina in una condizione di assoluto isolamento che le precludeva qualsiasi influenza sulla condotta degli affari di Stato, anche se non le impediva di aumentare continuamente la massa dei propri iscritti (più di un milione nel 1914), di incrementare il proprio seguito elettorale (nel 1913 la Spd si affermò addirittura come gruppo di maggioranza relativa col 34% dei voti e 110 seggi al Reichstag), di controllare lo sviluppo imponente delle organizzazioni collaterali (sindacati, cooperative, circoli ricreativi e culturali). A lungo andare però - nonostante la riaffermata fedeltà ai princìpi della dottrina marxista - anche la socialdemocrazia finì con l'ammorbidire i toni e le forme della sua opposizione e col venire tacitamente a patti con le ideologie nazional-imperialistiche cui nemmeno la classe operaia era del tutto insensibile.
Alla base di questa evoluzione (delineatasi a partire dal 1907, quando la Spd, dopo aver condotto una vivace campagna antimilitarista e anticolonialista, subì la sua prima seria battuta d'arresto elettorale) c'era innanzitutto la volontà di uscire dall'isolamento e di non prestarsi alle manovre dei gruppi conservatori che indicavano nella socialdemocrazia il "nemico interno"; ma c'era anche un graduale processo di adattamento alla situazione esistente, che portava la maggioranza del gruppo dirigente socialdemocratico a identificare le fortune del movimento operaio con lo sviluppo di un apparato organizzativo sempre più complesso e più radicato nella società. Quella del movimento socialdemocratico nella Germania guglielmina fu - per usare una definizione della storiografia recente - una integrazione negativa: che si esauriva, cioè, in una limitata partecipazione della classe operaia ai vantaggi materiali dello sviluppo economico e in una legislazione sociale relativamente avanzata, ma non comportava alcun prezzo politico significativo per la classe dirigente.
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