26.3 Il consolidamento del potere di Hitler
Per trasformare lo Stato liberale italiano in una dittatura monopartitica Mussolini aveva impiegato circa quattro anni. A Hitler bastarono pochi mesi per imporre un potere molto più totalitario di quello che Mussolini aveva e avrebbe mai esercitato in Italia.
L'occasione per una prima stretta repressiva fu offerta da un episodio drammatico quanto oscuro: l'incendio appiccato al Reichstag, il Parlamento nazionale, nella notte del 27 febbraio 1933, una settimana prima della data fissata per una nuova consultazione elettorale. L'arresto di un comunista olandese, semisquilibrato mentale, indicato come l'autore materiale dell'incendio, fornì al governo il pretesto per un'imponente operazione di polizia contro i comunisti (migliaia di dirigenti e militanti furono incarcerati e il partito fu messo in pratica fuori legge) e per una serie di misure eccezionali che limitavano o annullavano le libertà di stampa e di riunione.
Nelle successive elezioni del 5 marzo - che, nelle intenzioni di Hitler, avrebbero dovuto sanzionare l'avvenuta presa del potere - i nazisti mancarono però l'obiettivo della maggioranza assoluta. Ottennero comunque un numero di voti (il 44%) che, uniti a quelli dei gruppi di destra, sarebbero bastati ad assicurare al governo un'ampia base parlamentare. Ma Hitler mirava ormai all'abolizione del Parlamento. E il Reichstag appena eletto lo assecondò approvando una legge suicida che conferiva al governo i pieni poteri, compreso quello di legiferare e quello di modificare la costituzione. Assenti i deputati comunisti (tutti incarcerati o latitanti), votarono contro i soli socialdemocratici: i quali mantennero tuttavia un atteggiamento di estrema prudenza, nell'illusione di poter conservare almeno il ruolo di opposizione legale. Fu tutto inutile: nel giugno 1933 la Spd, accusata di "alto tradimento", fu sciolta dopo che era stata soppressa con un provvedimento di polizia la Confederazione dei sindacati liberi, di ispirazione socialdemocratica. Quello che era stato il movimento operaio più forte d'Europa veniva così annientato senza nemmeno riuscire a esprimere una qualsiasi resistenza organizzata. Una sorte non molto migliore toccò a quei partiti che avevano favorito o assecondato l'avvento del nazismo. Alla fine di giugno il Partito tedesco-nazionale si autosciolse su pressione dei nazisti. La stessa cosa fece pochi giorni dopo il Centro cattolico. In luglio Hitler poteva varare una legge in cui si proclamava che il Partito nazionalsocialista era l'unico consentito in Germania. Infine, in novembre, una nuova consultazione elettorale, questa volta di tipo "plebiscitario", su lista unica, faceva registrare un 92% di voti favorevoli.
Hitler aveva così realizzato in tempi insperatamente rapidi la prima parte del suo programma di politica interna. Di fronte a lui restavano ancora due ostacoli: da una parte l'ala estremista del nazismo, rappresentata soprattutto dalle SA di Röhm che invocavano apertamente una "seconda ondata" rivoluzionaria ed erano poco disposte a sottomettersi al controllo dei poteri legali; dall'altra la vecchia destra, impersonata dal presidente Hindenburg e dai capi dell'esercito, che chiedevano in termini ultimativi a Hitler di frenare i rigurgiti estremisti e di tutelare le tradizionali prerogative delle forze armate. Hitler, che temeva anche lui l'autonomia delle SA (e, già da qualche anno, aveva provveduto a formare una sua milizia personale, le SS, sigla di Schutz-Staffeln, "squadre di difesa"), decise di risolvere il problema nel modo più drastico e a lui più congeniale: con un massacro che fece inorridire il mondo civile. Nella notte del 30 giugno 1934 - passata alla storia come "notte dei lunghi coltelli" - reparti delle SS assassinarono Röhm insieme a tutto lo stato maggiore delle SA (in tutto alcune centinaia di persone). Hitler profittò inoltre dell'occasione per eliminare altri elementi sgraditi.
La contropartita chiesta e ottenuta da Hitler in cambio della testa di Röhm fu l'assenso delle forze armate alla sua candidatura alla successione di Hindenburg. Quando il vecchio maresciallo morì, nell'agosto del '34, Hitler si trovò così, in virtù di una legge emanata dal suo stesso governo, a cumulare le cariche di cancelliere e capo dello Stato. Ciò significava, fra l'altro, l'obbligo per gli ufficiali di prestare giuramento di fedeltà a Hitler (quindi al nazismo): in prospettiva, la fine di quell'autonomia dal potere politico di cui i generali tedeschi si erano mostrati così gelosi. Le conseguenze sarebbero apparse chiare pochi anni dopo, nel febbraio '38, quando Hitler decise di assumere personalmente il comando supremo delle forze armate.
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