34.10 La crisi petrolifera e i limiti dello sviluppo
All'inizio degli anni '70, due avvenimenti dalle conseguenze traumatiche sconvolsero il corso dell'economia mondiale. Nell'agosto 1971, gli Stati Uniti decisero di sospendere la convertibilità del dollaro in oro: convertibilità che costituiva il pilastro del sistema monetario internazionale costruito con gli accordi di Bretton Woods del 1944 (
30.4). Era il segno di un grave disagio dell'economia americana, esaurita dall'impegno militare in Vietnam e afflitta in quegli anni da un crescente deficit della bilancia commerciale. Ma era anche l'inizio di una lunga fase di instabilità e di disordine monetario, caratterizzata da continue oscillazioni nei prezzi delle materie prime e nei cambi fra le monete, non più ancorate a un sistema di convertibilità fisse.
Ancora più sconvolgente fu la decisione presa dai paesi produttori di petrolio nel novembre 1973, in seguito alla guerra arabo-israeliana (
35.4), di quadruplicare d'un colpo il prezzo della materia prima: prezzo che avrebbe continuato a salire negli anni seguenti, subendo nel '79 (dopo la rivoluzione iraniana) una nuova impennata che lo portò a livelli dieci volte superiori a quelli del '72. Lo "shock petrolifero" colpì in varia misura tutti i paesi industrializzati, in particolare quelli che dipendevano quasi interamente dall'estero per il loro fabbisogno energetico (come Italia e Giappone); e fu il fattore scatenante di una crisi economica sulle cui cause profonde e sulla cui vera natura si discute ancora oggi.
Ovunque, fra il '74 e il '75, la produzione industriale fece registrare un brusco calo, per poi riprendere a crescere a partire dal '76, ma con ritmi più lenti rispetto al periodo precedente. Contrariamente a quanto accadeva nelle crisi del passato, tutte caratterizzate dal calo dei prezzi, in questo caso la recessione produttiva si accompagnò a una generale tensione inflazionistica, con tassi di aumento dei prezzi, nei paesi industrializzati, superiori al 10%, e talvolta al 20% annuo. Questo fenomeno inedito - che è stato definito col termine "stagflazione" - era dovuto in parte all'origine "esterna" dell'inflazione (l'aumento dei prezzi del petrolio e delle materie prime in genere); in parte alla maggior rigidità dei salari che, in virtù dei meccanismi di copertura introdotti nei decenni precedenti, tendevano ad adeguarsi automaticamente alla crescita dei prezzi, creando a loro volta nuove spinte inflazionistiche. Ciò significava, d'altra parte, che i lavoratori furono tutelati, almeno parzialmente, dalle conseguenze dell'aumento dei prezzi. Sul piano sociale, la conseguenza più grave della crisi fu la crescita della disoccupazione, che si mantenne molto elevata per tutto il decennio successivo: un problema ancora attuale, soprattutto in Europa occidentale, anche se reso meno drammatico dalla presenza di numerosi "ammortizzatori" sociali: i sussidi di disoccupazione, le sovvenzioni statali alle industrie in crisi, ma anche la preesistente condizione di benessere.
Giunta dopo un venticinquennio di sviluppo pressoché ininterrotto e di benessere crescente, la crisi del '73-'75 costituì un trauma fortissimo sul piano psicologico prima ancora che economico. Uomini politici, economisti e semplici cittadini dei paesi avanzati si erano adagiati più o meno inconsciamente nella convinzione di uno sviluppo continuo e illimitato, tutt'al più interrotto da qualche crisi congiunturale, peraltro controllabile. La crisi del '73-'74 rivelò invece un'insospettata fragilità delle economie capitalistiche avanzate e fece sorgere una serie di interrogativi sui fondamenti stessi della civiltà nata con la rivoluzione industriale. Ci si chiedeva in particolare se l'idea di uno sviluppo illimitato non fosse da un lato irreale, in quanto basata sulla presunzione che le risorse della terra fossero inesauribili e disponibili a piacimento; dall'altro dannosa, in quanto portava con sé i germi dello spreco energetico e della modifica violenta dell'ambiente. Di qui una nuova, generale attenzione verso le tematiche dell'
ecologia.
All'indomani della crisi petrolifera, i governi si mossero soprattutto sulla base di esigenze economiche immediate e promossero politiche di risparmio energetico, volte ad alleggerire l'onere delle importazioni di petrolio sulla bilancia commerciale. Si cercò di limitare la circolazione dei mezzi di trasporto privati, di contenere i consumi di elettricità, e soprattutto di impiegare fonti di energia alternative al petrolio. Alcuni Stati (Usa, Francia, Germania federale) hanno puntato sullo sviluppo delle centrali nucleari, in grado di fornire energia a costi sensibilmente inferiori a quelli delle centrali termoelettriche, ma contestate dagli ecologisti per i danni irreversibili che si teme possano provocare in caso di guasti o incidenti. Altrove si è riscoperto il carbone, o si è tentato di sfruttare l'energia solare: l'energia pulita e inesauribile per eccellenza, risultata però difficilmente utilizzabile.
La spinta alla ricerca di fonti energetiche "alternative" è in parte venuta meno nel decennio seguente, in seguito alla stasi e poi al rapido calo, nell'85-'86, dei prezzi del petrolio. In generale, si può dire che in questi anni si siano ridimensionati gli allarmi suscitati dallo shock petrolifero del '73. La stessa crisi economica degli anni '70 è vista oggi, più che come il segno di un declino delle società industrializzate, come l'inizio di una fase di trasformazione nei meccanismi della produzione, nei rapporti fra i vari settori, nelle stesse gerarchie dell'economia mondiale. Tanto più che, per tutto il corso degli anni '80, le economie dei paesi industrializzati hanno conosciuto una nuova e prolungata fase di crescita, legata soprattutto allo sviluppo di nuove tecnologie.
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