18.6 I conflitti di nazionalità in Austria-Ungheria
Nei decenni che precedettero la prima guerra mondiale, l'Impero asburgico vide aggravarsi il declino delineatosi a partire dal 1848 e dovuto, oltre che al ritardo nello sviluppo dell'economia, ai sempre più forti contrasti fra le diverse nazionalità. Dal punto di vista economico, l'Impero era ancora un paese essenzialmente agricolo (nel 1910 il 56% della popolazione attiva era occupato nelle campagne), complessivamente più povero della Germania e della Francia e poco più ricco dell'Italia, ma con alcune isole altamente urbanizzate e industrializzate: la regione gravitante attorno alla capitale Vienna, la Boemia (in particolare la zona di Praga), il porto di Trieste, nodo commerciale di primaria importanza fra il Centro Europa e il Mediterraneo. Allo sviluppo economico e civile dei grandi centri, alla eccezionale vitalità culturale che si manifestò in questo periodo (e che fece di Vienna una delle maggiori capitali europee della musica, delle arti figurative e della letteratura), allo sviluppo dei grandi partiti di massa - socialdemocratici e cristiano-sociali - facevano riscontro, soprattutto nelle regioni di lingua tedesca, il sostanziale immobilismo del sistema politico e la persistenza delle strutture sociali tradizionali nella provincia contadina, dominata dalla Chiesa e dai grandi proprietari.
Ma il principale motivo di disagio e di crisi era costituito dai conflitti nazionali. Mentre l'Impero tedesco - che pure presentava, sotto il profilo politico-istituzionale, non poche affinità con quello asburgico - trovava nel nazionalismo di una popolazione compattamente tedesca un potentissimo elemento di coesione, in Austria-Ungheria le tensioni fra i diversi gruppi etnici costituivano un fattore di logoramento e di disgregazione per una compagine statale che aveva come principali elementi unificanti la corona, l'esercito e la burocrazia. Con la soluzione "dualistica" varata nel 1867 (
9.4), la monarchia asburgica aveva scelto la strada del compromesso col gruppo nazionale più forte, quello magiaro, che aveva conquistato nella parte sud-occidentale dell'Impero una posizione privilegiata simile a quella detenuta dagli austriaci nella parte nord-occidentale.
Fino alla fine del secolo scorso il potere imperiale riuscì a controllare la situazione appoggiandosi agli elementi conservatori e all'aristocrazia agraria delle varie nazionalità, con qualche concessione alle masse contadine. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 si assisté però a una crescita dei movimenti nazionali: tutti in forte contrasto gli uni con gli altri, ma uniti dall'ostilità al centralismo imperiale e dalla tendenza a radicalizzarsi, scivolando dal piano delle rivendicazioni autonomistiche a quello dell'indipendentismo.
I più irrequieti erano naturalmente i popoli slavi, i grandi sacrificati dal "compromesso" del '67. Fra i cechi della Boemia e della Moravia - che erano inclusi nella zona di competenza austriaca e che, fra i popoli soggetti alla corona asburgica, potevano vantare le più solide tradizioni politiche e culturali - si affermò, nell'ultimo decennio dell'800, il movimento dei giovani cechi che si batteva contro la politica di "germanizzazione" del governo di Vienna. Tendenze nazionaliste ancora più radicali si cominciarono a manifestare nello stesso periodo fra gli "slavi del Sud", serbi e croati, che erano soggetti al dominio ungherese (più duro di quello austriaco) e subivano l'attrazione del vicino Regno di Serbia. Persino nel gruppo etnico "privilegiato", quello magiaro, sorse, all'inizio del '900, un movimento che rivendicava totale autonomia dall'Austria anche in materia di tariffe doganali e di organizzazione dell'esercito.
In questa situazione, il compito del potere centrale diventava estremamente difficile. Le limitate concessioni che i governi di Vienna erano disposti a fare alle singole nazionalità non erano mai sufficienti a bloccare i fermenti autonomistici, ma bastavano a suscitare la reazione degli altri gruppi etnici. Una parte della classe dirigente e dei circoli di corte si orientò verso l'idea di trasformare la monarchia da "dualistica" in "trialistica": di staccare cioè gli slavi del Sud dall'Ungheria e di creare così un terzo polo nazionale accanto a quelli tedesco e magiaro. Questo progetto, che aveva il suo sostenitore più autorevole nell'arciduca ereditario Francesco Ferdinando (nipote di Francesco Giuseppe), si scontrava però con l'opposizione degli ungheresi e con quella dei nazionalisti serbi e croati, che miravano con tutti i mezzi - compresi quelli terroristici - alla fondazione di un unico Stato slavo indipendente ed erano palesemente appoggiati dalla Serbia (a sua volta protetta dalla Russia). Da questo pericoloso focolaio di tensione sarebbe scoccata nel 1914 la scintilla che portò allo scoppio della guerra europea e alla dissoluzione dell'Impero austro-ungarico.
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