12.2 Sviluppo economico e fratture sociali negli Stati Uniti
Intorno alla metà del secolo scorso, gli Stati Uniti d'America offrivano l'immagine di un paese in crescente espansione. La popolazione era in costante aumento (23 milioni nel 1850, oltre 30 dieci anni dopo), grazie soprattutto all'ininterrotto flusso migratorio proveniente dall'Europa. I confini dell'Unione continuavano a spostarsi verso Ovest, includendo vasti territori ben presto attraversati da strade e linee ferroviarie. La produzione agricola progrediva con ritmi che non avevano uguali al mondo, sia per la messa a coltura di nuove terre nelle regioni di recente colonizzazione, sia per lo sviluppo di una moderna agricoltura capitalistica negli Stati del Vicino Ovest (Midwest). Contemporaneamente, la regione del Nord-est - in particolare la zona della costa atlantica - conosceva un rapido e tumultuoso sviluppo industriale.
Ma a questa eccezionale vitalità dell'economia e del corpo sociale facevano riscontro profonde fratture interne. Negli Stati Uniti coesistevano infatti tre diverse società, corrispondenti a diverse zone del paese, ciascuna col suo sistema economico, i suoi valori, le sue tradizioni culturali. C'erano innanzitutto gli Stati del Nord-est, sede delle prime colonie britanniche e nucleo originario dell'Unione. Era la zona più progredita, più ricca e più industrializzata, dove sorgevano i maggiori centri urbani (New York, Boston, Philadelphia), dove si concentravano i commerci con l'Europa e dove principalmente si indirizzava l'ondata migratoria. Un ambiente dunque in perenne trasformazione, sottoposto a sollecitazioni di ogni genere, profondamente influenzato dai valori del più puro capitalismo imprenditoriale, dominato dai gruppi industriali, commerciali e bancari, cui si contrapponeva un ormai numeroso proletariato urbano.
Quella degli Stati del Sud era invece una società agricola e profondamente tradizionalista, che fondava la sua economia e la sua organizzazione sociale sulle grandi piantagioni di cotone (e, in minor misura, di tabacco e di canna da zucchero). La manodopera che vi lavorava era costituita in gran parte da schiavi neri, discendenti da quelli che erano stati forzatamente trapiantati in America nel '700 (la tratta era stata ufficialmente vietata negli Stati Uniti solo nel 1808). Nel 1860 vivevano negli Stati del Sud quasi quattro milioni di schiavi neri, contro circa sei milioni di bianchi, in maggioranza piccoli e medi coltivatori. Il ceto dei grandi proprietari - che impiegavano il grosso della manodopera servile - contava non più di 2000 famiglie: una ristretta minoranza, che però dominava la vita politica e sociale e forniva i migliori ufficiali all'esercito federale. In un paese in cui non era mai esistita una vera nobiltà, i latifondisti del Sud si trovarono a svolgere una funzione sociale simile a quella di un'aristocrazia. Tipicamente aristocratici erano i loro comportamenti e il loro stile di vita. Vivevano in case ampie e lussuose, avevano il culto della tradizione e il gusto delle buone maniere, si ispiravano a un'etica patriarcale e paternalistica. La stessa istituzione della schiavitù veniva giustificala in questo contesto: anzi, la vita nella piantagione, dove allo schiavo erano assicurati l'abitazione, il vitto giornaliero e l'istruzione religiosa, era polemicamente contrapposta alla venalità, alla brutalità e all'insicurezza che caratterizzavano i rapporti di lavoro in regime di capitalismo industriale.
A queste due società così diverse fra loro se ne contrapponeva una terza: quella dei liberi agricoltori e allevatori di bestiame che popolavano gli Stati dell'Ovest. Era una società in rapida evoluzione: man mano che la frontiera si spostava verso il West, le aziende stabili si sostituivano agli insediamenti isolati dei pionieri, lo scambio in natura e l'autoconsumo cedevano il passo all'agricoltura mercantile che forniva derrate alimentari, e soprattutto cereali, alle città del Nord-est. Lo sviluppo delle ferrovie e della navigazione fluviale incrementò gli scambi e aumentò l'afflusso di popolazione verso il Midwest, dove sorsero nuovi grandi centri urbani come Chicago, Detroit, Cleveland. Nonostante tutto ciò, la società agricola dell'Ovest restava legata all'etica e ai valori della frontiera: l'iniziativa individuale, l'indipendenza, l'uguaglianza delle opportunità.
Fu proprio l'Ovest a costituire il pomo della discordia, e al tempo stesso, l'elemento risolutore, nel contrasto che, a partire dalla metà del secolo, oppose il Nord industriale e il Sud schiavistico. L'idea stessa della schiavitù mal si conciliava con la mentalità democratica diffusa fra le popolazioni del Nord (dove era attivo da tempo un vivace movimento abolizionista); ma era anche incompatibile con la filosofia di un capitalismo moderno (che presupponeva soggetti giuridicamente liberi, in grado di contrattare la compravendita della propria forza-lavoro) e con la sua esigenza di disporre di una manodopera mobile e di un mercato interno in espansione.
Non si deve pensare, tuttavia, che l'economia delle piantagioni rappresentasse una appendice parassitaria o addirittura un vincolo per il capitalismo del Nord. Al contrario, essa costituiva una macchina produttiva altamente perfezionata e redditizia, che assicurava il 75% della produzione mondiale di cotone e alimentava un imponente flusso di esportazioni verso l'Europa. Fino alla metà del secolo, il cotone esercitò un peso decisivo sull'economia dell'intero paese e non solo su quella del Sud: le manifatture che lavoravano il cotone formarono il primo nucleo importante dell'industria statunitense. Quando però, con gli anni '40 e '50, lo sviluppo industriale si allargò a nuovi settori (in particolare a quello meccanico), diminuì l'importanza della produzione cotoniera nel complesso dell'economia americana e si allentò il rapporto di dipendenza reciproca che aveva fin allora legato i due sistemi. Contemporaneamente si fecero più strette le relazioni fra il Nord-est industriale e l'Ovest agricolo: quest'ultimo trovava infatti nelle aree urbane in continua espansione ampi sbocchi per i suoi prodotti e costituiva a sua volta un ottimo mercato per l'industria meccanica, che vi collocava soprattutto macchine agricole. Lo stabilirsi di questi legami ebbe tra i suoi effetti quello di far passare in secondo piano le tradizionali divisioni fra agricoltori e industriali, fra liberisti e protezionisti, di mutare le alleanze sociali che si erano stabilite nei decenni precedenti e che avevano visto gli agricoltori dell'Ovest uniti ai piantatori del Sud nella difesa del liberismo economico e nell'avversione all'oligarchia industriale e finanziaria del Nord-est (favorevole invece ad alti dazi doganali).
Su queste premesse si inserì, intorno alla metà del secolo, l'acutizzarsi dello scontro sulla schiavitù. Al centro del dibattito non stava tanto il problema dell'esistenza o meno di questa "istituzione peculiare", quanto quello della possibilità di introdurla nei territori di nuova acquisizione. L'estensione dell'economia delle piantagioni (e dunque del lavoro servile) ai nuovi territori era richiesta dai piantatori del Sud, che volevano allargare la coltura del cotone alle terre vergini, dove i rendimenti erano più alti; ma incontrava forti opposizioni nell'opinione pubblica del Nord e fra i coloni dell'Ovest, che chiedevano terre a buon mercato, o addirittura in uso gratuito, per diffondervi la coltivazione dei cereali.
Lo scontro sulla questione della schiavitù fece sentire i suoi effetti anche in campo politico. Nella prima metà del secolo, la scena politica americana era stata dominata da due grandi partiti, entrambi privi di una caratterizzazione ideologica ben definita ma formatisi - secondo un modello destinato a restare costante nella storia degli Stati Uniti - sulla base di coalizioni fra grandi gruppi di interesse. Il
Partito democratico, erede della tradizione di Jefferson, si ispirava a ideali di democrazia rurale, di liberismo economico, di rispetto dell'autonomia dei singoli Stati e raccoglieva il consenso sia dei piccoli e medi agricoltori sia dei grandi piantatori del Sud, ma anche di buona parte dei lavoratori immigrati del Nord-est. Il Partito whig, nato all'inizio degli anni '30, godeva invece dell'appoggio della borghesia del Nord e si riallacciava alla tradizione del federalismo di Hamilton nell'invocare un rafforzamento del potere centrale.
Con l'inizio degli anni '50, entrambi i partiti entrarono in una profonda crisi. I democratici, identificandosi sempre più con la causa dei grandi proprietari schiavisti, persero molti dei consensi di cui godevano al Nord e all'Ovest. Il Partito whig, diviso fra una corrente progressista e una conservatrice, si dissolse nel giro di pochi anni. Dall'ala progressista - cui si aggiunsero gruppi di ex democratici dissidenti - nacque nel 1854 una nuova formazione politica: il
Partito repubblicano. Qualificandosi in senso decisamente antischiavista e accogliendo nella sua piattaforma politica sia le rivendicazioni degli industriali (dazi doganali più alti), sia quelle dei coloni dell'Ovest (distribuzione gratuita dei terreni demaniali), il nuovo partito conquistò un seguito sempre crescente. Finché, nelle elezioni del 1860, riuscì a portare alla presidenza un tipico uomo dell'Ovest:
Abraham Lincoln, un avvocato di salde convinzioni democratiche, proveniente da una famiglia di modesti agricoltori del Kentucky.
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