35.7 Il miracolo giapponese
Fra i numerosi "miracoli economici" di questo dopoguerra, quello del Giappone - protagonista già nel secolo scorso di un'esperienza di modernizzazione unica nel suo genere - è certamente il più straordinario. Paese da sempre povero di materie prime e con una densità di abitanti fra le maggiori del mondo (nel 1980 la popolazione sfiorava i 120 milioni, su una superficie di poco superiore a quella dell'Italia), uscito dalla guerra in condizioni disastrose, il Giappone era diventato, già negli anni '60, la terza potenza economica del mondo dopo Usa e Urss. All'inizio degli anni '80, il suo prodotto nazionale superava già quello sovietico. Oggi la sua industria ha conquistato i mercati di tutto il mondo e la sua potenza finanziaria preoccupa gli stessi Stati Uniti.
Le cause di questo miracolo sono numerose. In parte esse affondano le loro radici nelle tradizioni e nella mentalità del popolo giapponese: abitudine all'organizzazione e alla disciplina, forte coesione nazionale, spirito di gruppo che si traduce in "patriottismo d'impresa"; in parte si collegano a un preesistente, elevato livello di industrializzazione, di scolarizzazione e di istruzione tecnica; in parte sono da ricondursi all'eccezionale stabilità politica di un sistema essenzialmente bipartitico, in cui i gruppi moderati, uniti nel Partito liberal-democratico, hanno mantenuto ininterrottamente la guida del governo, il che ha favorito, per altro verso, fenomeni di autoritarismo e di corruzione. Proprio la corruzione è stata all'origine, alla fine degli anni '80, di una serie di scandali politico-finanziari che per la prima volta hanno messo in forse l'egemonia del partito di maggioranza.
Per quanto riguarda i fattori economici, bisogna ricordare che il Giappone ha goduto nel dopoguerra (come del resto i paesi dell'Europa occidentale) dell'assistenza degli Stati Uniti ed è diventato, durante la guerra di Corea, base logistica e fornitore dell'esercito americano; e che la quasi completa assenza di spese militari imposta dal trattato di pace, assieme a una politica economica tutta fondata sul contenimento dei consumi e sul rilancio produttivo, ha consentito nel corso degli anni '50 un tasso di investimento elevatissimo, pari a un terzo del prodotto nazionale. Inoltre il sistema delle imprese - basato sulla compresenza di pochi grandissimi complessi industrial-finanziari (come la Honda, la Matsuda, la Mitsubishi, la Matsuhida) e di una miriade di piccole e medie aziende - si è rivelato particolarmente adatto a cogliere le occasioni di sviluppo e abbastanza elastico da assorbire le fluttuazioni congiunturali. Merito della classe imprenditoriale è stato quello di puntare sui settori in crescita - la siderurgia, la cantieristica, l'automobile, la meccanica di precisione negli anni '50 e soprattutto l'elettronica negli ultimi due decenni - e sulle tecnologie d'avanguardia.
Tutto ciò ha permesso al Giappone di mantenere per tutto il ventennio '50-70 un tasso di sviluppo medio del 15% annuo (il triplo di quello dell'Occidente industrializzato) e di invadere il mondo con i prodotti della sua industria, compensando ampiamente le importazioni di materie prime e mantenendo in costante attivo la bilancia commerciale. La crisi petrolifera del '73-74 ha colpito il Giappone più di altri paesi industriali e ha provocato la prima brusca caduta della produzione; ma la crisi è stata superata abbastanza rapidamente e negli anni '80 il tasso di sviluppo, pur molto rallentato rispetto al ventennio precedente, è sempre circa il doppio di quello dei paesi occidentali. Restano gli interrogativi su quali possano essere i traguardi di un paese che, completamente dipendente dall'estero per le materie prime, non dispone di una forza militare adeguata (ma può contare solo sull'"ombrello" nucleare americano) e nemmeno di un peso politico proporzionale alla sua forza economica.
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