10.8 La seconda guerra di indipendenza
Premessa indispensabile per la riuscita dei progetti di Cavour era comunque la guerra contro l'Austria. Anzi, era necessario che la guerra apparisse provocata dall'Impero asburgico perché l'alleanza con la Francia potesse diventare operante. Il governo piemontese fece il possibile per far salire la tensione con lo Stato vicino: dalle manovre militari al confine, all'armamento di corpi volontari (i Cacciatori delle Alpi comandati da Garibaldi e inquadrati nell'esercito sabaudo), al celebre discorso tenuto nel gennaio '59 da Vittorio Emanuele, in cui il re si dichiarava non insensibile al "grido di dolore" che si levava da tante parti d'Italia. Contro la guerra lavoravano però forze importanti, nei circoli dirigenti francesi e nella diplomazia europea. L'Inghilterra, in particolare, non desiderava una espansione francese nell'area mediterranea né un troppo drastico ridimensionamento dell'Austria. Ma lo stesso governo asburgico finì col creare il tanto sospirato casus belli inviando, il 23 aprile 1859, un secco ultimatum al Piemonte (vi si chiedeva, fra l'altro, lo scioglimento dei corpi volontari e il ritorno dell'esercito sul piede di pace), che Cavour ebbe buon gioco a respingere.
Alla base della decisione austriaca c'era la speranza di assestare un duro colpo al Piemonte prima dell'intervento dei francesi. Ma il piano fallì per le avverse condizioni meteorologiche e per le incertezze dei comandi. Le truppe franco-piemontesi, agli ordini di Napoleone III, si mossero invece con notevole rapidità: dopo un primo scontro con gli austriaci a Montebello, sul Po, e mentre i volontari di Garibaldi impegnavano l'esercito imperiale penetrando nel Nord della Lombardia, gli alleati spostarono il grosso delle truppe sul Ticino (fu questo il primo esempio nella storia militare di impiego delle ferrovie in un'importante operazione strategica) e, ai primi di giugno, sconfissero gli asburgici nella battaglia di Magenta aprendosi la via di Milano. Un successivo contrattacco austriaco fu respinto dai franco-piemontesi il 24 giugno nelle due contemporanee, sanguinosissime battaglie di Solferino e San Martino.
In questa situazione, estremamente favorevole dal punto di vista militare, Napoleone III decise unilateralmente di interrompere la campagna e propose agli austriaci un armistizio, che fu firmato l'11 luglio a Villafranca, presso Verona. Con l'accordo l'Impero asburgico rinunciava alla
Lombardia e la cedeva alla Francia (che l'avrebbe poi "girata" al Piemonte), mantenendo il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera. Per il resto d'Italia, l'accordo prevedeva il ripristino dello status quo precedente lo scoppio della guerra (che era stato turbato, come vedremo fra poco, dalle insurrezioni nell'Italia centrale). La notizia dell'armistizio suscitò lo sdegno dei democratici italiani; colse di sorpresa lo stesso Cavour, che rassegnò subito le dimissioni e fu sostituito dal generale La Marmora; e segnò la fine della provvisoria alleanza fra il movimento nazionale italiano e il Secondo Impero. In compenso, il brusco voltafaccia attuato da Napoleone III, in netta contraddizione con gli accordi di Plombières e con gli ambiziosi progetti della vigilia, finì col concedere una nuova libertà d'azione al governo piemontese.
Fra i motivi che avevano spinto l'imperatore a un così clamoroso ripensamento, c'erano le pressioni dell'opinione pubblica francese, impressionata dagli alti costi umani e finanziari della guerra; c'era la minaccia di un intervento della Confederazione germanica a fianco dell'Austria; ma c'era anche la nuova situazione che si era venuta a creare nell'Italia centro-settentrionale. Alla fine di aprile a Firenze e in altre città toscane, ai primi di giugno nei ducati di Modena e Parma, una serie di insurrezioni aveva costretto alla fuga i vecchi sovrani. Poco dopo la sollevazione si estese anche allo Stato della Chiesa, costringendo le truppe pontificie ad abbandonare Bologna e la Romagna. A differenza di quanto era accaduto nel '48, i moti furono saldamente controllati dai moderati e dagli uomini della Società nazionale, e i governi provvisori che subito si costituirono si pronunciarono per l'annessione al Piemonte. Dopo Villafranca, il governo sabaudo inviò nelle regioni liberate dei commissari straordinari.
La piega assunta dagli avvenimenti pose Napoleone III in una situazione quanto mai imbarazzante. Le insurrezioni vanificavano il progetto di nuova sistemazione dell'Italia concepito a Plombières, ma d'altra parte la strada dell'intervento militare per ristabilire la situazione precedente non appariva più percorribile. Dopo alcuni mesi di stallo - e dopo la firma in novembre della pace di Zurigo con l'Austria, in cui non si prendeva in considerazione il problema delle province insorte - Napoleone III decise di accettare il fatto compiuto. Cavour, tornato a capo del governo nel gennaio 1860, poté così negoziare la cessione alla Francia di
Nizza e della
Savoia - cui il Piemonte non era più tenuto dopo Villafranca - in cambio dell'assenso francese alle annessioni nell'Italia centrale. Nel marzo dello stesso anno, le popolazioni di Emilia, Romagna e Toscana, chiamate a scegliere, nella forma tipicamente bonapartista del plebiscito, fra l'annessione al Piemonte e la creazione di regni separati, si pronunciavano a schiacciante maggioranza per la soluzione unitaria.
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