35.2 Il rapporto Nord-Sud: la geografia della fame
Uno dei principali fattori di inquietudine e di instabilità della società contemporanea sta certamente nell'approfondirsi delle disuguaglianze economiche fra i diversi paesi e fra le diverse aree del pianeta. Ancora all'inizio degli anni '80 i paesi afroasiatici, che comprendevano il 57% della popolazione del globo, disponevano del 15% del reddito mondiale, mentre agli Stati Uniti e al Canada (col 7% della popolazione) andava il 40%.
Certo, i processi di crisi e di trasformazione degli anni '70 hanno portato notevoli mutamenti nel rapporto fra un Nord del pianeta, prospero e industrializzato, e un Sud povero e arcaico, così come si presentava subito dopo il compimento del processo di decolonizzazione. I paesi produttori di petrolio si sono fortemente avvantaggiati dell'aumento dei prezzi deciso nel '73 (anche se questi vantaggi rischiano di rivelarsi effimeri, in assenza di altre condizioni "interne" necessarie per lo sviluppo). Alcuni Stati dell'Asia e dell'Africa (come l'India, l'Indonesia, l'Egitto e il Kenya) sono riusciti se non altro a risolvere i problemi alimentari più urgenti. Altri (come alcuni paesi del Sud-est asiatico: Corea del Sud, Malaysia, Singapore, Taiwan) sono addirittura entrati nel club dei paesi industrializzati sviluppando un proprio settore manifatturiero e inserendosi, sia pure con un ruolo subalterno, nei nuovi mercati aperti dalla "rivoluzione elettronica".
Ma per molti altri paesi - soprattutto quelli del continente africano - la situazione, nell'ultimo ventennio, si è andata continuamente aggravando: cosicché il divario fra i due estremi nella gerarchia della ricchezza mondiale si è accentuato invece di restringersi. Vi sono paesi - come il Bangladesh, la Cambogia e parecchi Stati dell'Africa centrale - in cui il prodotto pro-capite è inferiore ai 200 dollari annui, contro gli oltre 10.000 del Nord America e di una parte dell'Europa occidentale.
Nelle aree povere del mondo, la modificazione degli antichi assetti agricoli in funzione del mercato internazionale ha stravolto le preesistenti economie di sussistenza senza riuscire a mettere in moto un processo di sviluppo; i parziali tentativi di industrializzazione (attuati per lo più con l'apporto di capitali stranieri) hanno attirato manodopera in fuga dalle campagne, creando caotici agglomerati urbani; la penetrazione di modelli culturali "occidentali" si è sovrapposta in modo traumatico alle culture tradizionali suscitando nuove aspirazioni e nuove inquietudini nelle masse; la popolazione ha continuato a crescere con tassi elevatissimi, anche per l'assenza totale di politiche di controllo demografico (tentate, invece, in India e in Cina). Il tutto è stato spesso aggravato dall'incidenza delle spese militari sui bilanci statali e dalla presenza di gruppi dirigenti impreparati e corrotti.
Questo spiega come la maggior parte della popolazione del Terzo Mondo viva ancor oggi in condizioni di grave disagio alimentare; come il flusso migratorio verso i paesi ricchi sia aumentato considerevolmente, creando gravi problemi di convivenza in molte metropoli del mondo industrializzato; e come autentiche tragedie della fame, con centinaia di migliaia di morti, si siano consumate di recente nei paesi africani della fascia subsahariana, colpita all'inizio degli anni '80 da una gravissima crisi di siccità. Tragedie come questa non sono certo nuove nella storia dell'umanità. Ma appaiono tanto più intollerabili per la coscienza civile dei paesi sviluppati quanto più il flusso delle informazioni attraverso i mass media ne diffonde i dati e le immagini in tutti i paesi.
Da alcuni anni il problema della fame nel mondo e quello più generale del rapporto Nord-Sud sono al centro di una serie di analisi e di iniziative, sia da parte di organismi internazionali - dalle Nazioni Unite alla Comunità europea - sia da parte di singoli Stati. Alla fine degli anni '70, una commissione internazionale di esperti, presieduta dall'ex cancelliere tedesco Willy Brandt, ha suggerito alcuni rimedi: risparmi sulle spese militari da parte dei paesi ricchi, trasferimento di risorse ai paesi più poveri, riforme nel sistema monetario e nel commercio internazionale volte a favorire i paesi in via di sviluppo. Negli ultimi anni sono state promosse - da parte della Chiesa, di gruppi politici e di altre associazioni private - campagne di solidarietà internazionale e raccolte di fondi; e vi sono state forti pressioni sui governi perché aumentassero gli stanziamenti finanziari in favore delle popolazioni più colpite dalla fame. Il flusso degli aiuti così raccolti è certamente servito a salvare un numero non trascurabile di vite umane; ma non ha agito sulle cause di fondo di un problema che per trovare soluzione ha bisogno anche della mobilitazione di energie umane e materiali interne ai paesi che devono uscire dal sottosviluppo e dell'instaurazione di un più equilibrato rapporto fra popolazione e risorse.
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