17.2 Sviluppo industriale e razionalizzazione produttiva
Nel ventennio che precedette la prima guerra mondiale, l'economia dei paesi industrializzati conobbe una fase di espansione intensa e prolungata, interrotta solo da una breve crisi nel 1907-8. Se il periodo 1873-95 era stato caratterizzato soprattutto dalle innovazioni tecnologiche, dalla affermazione di settori "giovani" (acciaio, chimica, elettricità) e dalla crescita di nuove potenze industriali (Germania e Stati Uniti), gli anni 1896-1913 furono segnati da uno sviluppo generalizzato della produzione che interessò quasi tutti i settori e toccò anche paesi "nuovi arrivati" come la Russia e l'Italia. In questo periodo, l'indice della produzione industriale e quello del commercio mondiale risultarono più o meno raddoppiati. I prezzi, che erano stati sempre calanti a partire dal 1873, crebbero costantemente anche se lentamente, dopo il 1896. Ma crebbe anche, e in misura più consistente, il livello medio dei salari, e il reddito pro-capite dei paesi industrializzati aumentò nonostante il contemporaneo, cospicuo aumento della popolazione.
La crescita generalizzata dei redditi determinò a sua volta l'allargamento del mercato. Le industrie produttrici di beni di consumo e di servizi si trovarono per la prima volta a dover soddisfare una domanda che sempre più assumeva dimensioni di massa. Beni la cui produzione era stata fin allora assicurata solo dal piccolo artigianato o dall'industria domestica (per esempio, abiti e calzature, utensili e mobili) cominciarono a essere prodotti in serie e venduti attraverso una rete commerciale sempre più estesa e ramificata: nelle città, ma anche nei piccoli centri, si moltiplicarono i negozi; i grandi magazzini crebbero in numero e in dimensioni; si aprirono nuovi canali di vendita a domicilio e per corrispondenza, con forme di pagamento rateale che rendevano gli acquisti più accessibili ai ceti meno abbienti; i muri dei palazzi e le pagine dei giornali si riempirono di annunci e cartelloni pubblicitari.
Le esigenze della produzione in serie per un mercato di massa spinsero le imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e di razionalizzazione produttiva. Nel 1913, nelle officine automobilistiche Ford di Detroit, fu introdotta la prima catena di montaggio: un'innovazione rivoluzionaria che consentiva di ridurre notevolmente i tempi di lavoro, ma, frammentando il processo produttivo in una serie di piccole operazioni, ciascuna affidata a un singolo operaio, rendeva il lavoro ripetitivo e spersonalizzato.
La catena di montaggio - simbolo in positivo e in negativo della nuova era industriale - fu, del resto, il culmine di una serie di tentativi volti a migliorare la produttività non solo mediante l'introduzione di nuove macchine, ma anche attraverso un più razionale controllo e sfruttamento del lavoro umano. Il tentativo più organico e più fortunato in questo senso lo si dovette a un ingegnere statunitense, Frederick W. Taylor, autore nel 1911 di un libro intitolato Princìpi di organizzazione scientifica del lavoro. Il metodo di Taylor si basava sullo studio sistematico del lavoro in fabbrica, sulla rilevazione dei tempi standard necessari per compiere le singole operazioni e sulla fissazione, in base ad essi, di regole e ritmi cui gli operai avrebbero dovuto uniformarsi, eliminando le pause ingiustificate e gli sprechi di tempo. Applicate con un certo successo in molte grandi imprese americane e (soprattutto dopo la prima guerra mondiale) anche europee, le tecniche del taylorismo assicurarono notevoli progressi in termini di produttività e permisero alle imprese che le adottarono di praticare una politica di salari relativamente alti (tipico fu il caso della Ford). Ma incontrarono una diffusa ostilità fra i lavoratori che si sentivano spossessati di qualsiasi autonomia, oltre che di qualsiasi orgoglio professionale, e vedevano subordinato il loro lavoro agli automatismi delle macchine.
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