19.4 Imperialismo e riforme negli Stati Uniti
Mentre l'Asia orientale assisteva alla crescita inarrestabile della potenza giapponese, nel continente americano si andava progressivamente rafforzando il ruolo egemonico degli Stati Uniti. Fino alla prima guerra mondiale l'imperialismo statunitense si rivolse non tanto verso il Sud America - dove l'influenza inglese era ancora forte sul piano economico, anche se declinante su quello politico - quanto verso l'America centrale. Qui la presenza degli Stati Uniti, già affermatasi in modo netto con la guerra di Cuba del 1898, si fece sentire in forme quanto mai pesanti, soprattutto negli anni della presidenza di
Theodore Roosevelt. Esponente dell'ala progressista del Partito repubblicano, salito al potere nel 1901, Roosevelt mostrò grande decisione nella difesa degli interessi americani nel mondo, alternando con disinvoltura la pressione economica alle minacce di interventi armati, la "diplomazia del dollaro" alla politica del "grosso bastone" (big stick), secondo un'eloquente espressione da lui stesso coniata.
La più importante occasione per mettere in pratica l'una e l'altra politica fu offerta a Roosevelt dalla questione del canale di Panama. Nel 1901 gli Stati Uniti ottennero dal governo della Colombia l'autorizzazione a costruire e a gestire per un periodo di cento anni un canale che tagliasse l'istmo di Panama (allora facente parte della Repubblica colombiana), aprendo un passaggio fra l'Oceano Pacifico e il Mar dei Caraibi. Quando, nel 1903, il Parlamento colombiano, in un sussulto di orgoglio nazionale, rifiutò di ratificare l'accordo, gli Stati Uniti non esitarono a organizzare una sommossa a Panama e a minacciare un intervento armato per impedire la reazione del governo legittimo. Panama, come già Cuba, divenne una repubblica indipendente sotto la tutela americana. Il canale fu realizzato nel giro di dieci anni e la sua apertura, nel 1914, consentì di mettere in comunicazione i due settori - l'Oceano Pacifico e i mari del Centro America - su cui principalmente si esercitava la spinta espansionistica degli Stati Uniti.
Imperialista e aggressiva all'estero, la linea di Roosevelt si caratterizzò in politica interna per un'apertura ai problemi sociali sconosciuta alle precedenti amministrazioni, sia repubblicane sia democratiche. Si dovettero a Roosevelt i primi, limitati provvedimenti del governo federale nel campo della legislazione sociale (limitazioni di orario, tutela del lavoro minorile, assicurazioni contro gli infortuni) e le prime energiche affermazioni del diritto di intervento dei pubblici poteri nel mondo dell'economia. Pur senza mai mettere in discussione i princìpi-cardine del capitalismo americano e senza modificare la politica protezionistica ereditata dai suoi predecessori, Roosevelt cercò di limitare il potere dei grandi trusts, interpretando così le esigenze della piccola e media borghesia urbana, dei piccoli produttori indipendenti e degli stessi sindacati operai.
L'impegno deciso, e a tratti ostentato, in favore degli interessi della collettività, la capacità di imporre la propria immagine al grande pubblico (non rifuggendo talvolta da atteggiamenti istrionici), la stessa ricchezza e varietà delle esperienze vissute (era stato uomo d'affari, capo della polizia di New York, comandante di un reggimento di cavalleria nella guerra di Cuba) fecero di Roosevelt il presidente più popolare che gli Stati Uniti avessero mai avuto dai tempi di Lincoln. Ma, una volta che Roosevelt ebbe lasciato la presidenza, nel 1908 (in omaggio alla prassi che impediva a un presidente di ricoprire la carica per più di due mandati consecutivi), il Partito repubblicano si spaccò. L'ala più progressista, che aveva appoggiato l'azione di Roosevelt, non si riconobbe nella politica assai più conservatrice del suo successore Howard Taft. E, nelle elezioni del 1912, la divisione tra le file repubblicane favorì il successo del candidato democratico Woodrow Wilson.
Professore di scienze politiche, intellettuale di solide convinzioni democratiche, molto lontano da Roosevelt per formazione e per temperamento, Wilson ne riprese l'impegno sociale inserendolo però in un quadro ideologico e politico completamente diverso. Mentre Roosevelt aveva cercato di rafforzare il potere federale, Wilson, fedele alla tradizione del Partito democratico, fu contrario a ogni limitazione dell'autonomia dei singoli Stati dell'Unione. Mentre Roosevelt aveva lasciato inalterato il regime doganale protezionistico, Wilson impostò la lotta contro i grandi monopoli sull'abbassamento delle tariffe protettive, che furono considerevolmente ridotte nel 1913.
Anche nella politica estera Wilson portò uno stile nuovo, più prudente e più rispettoso delle norme della convivenza internazionale, anche se non meno attento alla tutela degli interessi statunitensi nel mondo. Era infatti convinto che il ruolo degli Stati Uniti dovesse fondarsi, più che sulla forza delle armi, sulla capacità espansiva dell'economia e sulla fedeltà ai princìpi basilari della tradizione democratica. Paradossalmente fu proprio in base a questi princìpi che, nel 1917, Wilson avrebbe condotto il suo paese a intervenire per la prima volta in un conflitto fra potenze europee.
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