34.8 Il nuovo femminismo
Fra la seconda metà degli anni '60 e l'inizio degli anni '70, in coincidenza con la generale ondata di contestazione che investì le strutture e i valori della società "borghese", si assisté a un rilancio, in forme nuove e più radicali, della questione femminile. Il problema della parità fra i sessi era stato sollevato, per opera dei primi gruppi femministi, già alla fine del secolo scorso e soprattutto all'inizio del '900 (
17.7). Le due guerre mondiali, che avevano visto le donne sostituire gli uomini in molte occupazioni tradizionalmente maschili e assumersi responsabilità crescenti in seno alla famiglia, avevano dato un'ulteriore spinta al processo di emancipazione. Dopo il secondo conflitto mondiale, esauritasi, con l'estensione generalizzata del voto alle donne, la battaglia per la conquista dei diritti politici, l'impegno del movimento femminista si rivolse innanzitutto alla rivendicazione di un trattamento egualitario per il lavoro femminile. Una richiesta che, al di là dei suoi aspetti puramente economici, chiamava in causa il problema più generale della condizione delle donne nella società e metteva implicitamente in discussione gli equilibri e i ruoli interni alla struttura familiare tradizionale.
Questa problematica fu al centro della nuova ondata femminista che ebbe origine negli Stati Uniti alla metà degli anni '60 e trovò i suoi testi fondamentali negli scritti di militanti come Betty Friedan e Kate Millet. La nuova corrente segnò una svolta netta, rispetto alla fase precedente, sia per la radicalità degli obiettivi (che implicavano una politicizzazione del privato, ossia il riconoscimento della rilevanza politica di ciò che avviene nella sfera dei rapporti personali e familiari), sia per la novità dei metodi di lotta: la contestazione di tutti i modelli culturali legati al "maschilismo", l'esaltazione dei valori tipicamente femminili ("donna è bello"), l'affermazione del separatismo rispetto agli uomini, l'autonomia da ogni gruppo politico, il rifiuto dell'organizzazione tradizionale (vista come imposizione di una gerarchia tipica del mondo maschile) e l'adozione del collettivo femminista come principale forma di aggregazione e di militanza. Le lotte del nuovo femminismo erano tese, da un lato, al conseguimento di misure legislative per il miglioramento della condizione delle donne (legalizzazione dell'aborto volontario, riforma del diritto di famiglia, accesso alle nuove professioni); dall'altro, alla critica del modello femminile proposto sia dalla cultura tradizionale sia da quella dei mass media (soprattutto dalla pubblicità).
Nel corso degli anni '70, il movimento delle donne ha allargato il suo seguito in tutti i paesi dell'Occidente industrializzato, ma ha anche conosciuto alcune fratture interne. Da una parte c'era la ricerca della parità con l'uomo, da raggiungersi attraverso la progressiva riduzione delle differenze nel comportamento quotidiano, soprattutto all'interno della struttura familiare (tipica di questa corrente è la discussione del ruolo tradizionale di madre e la rivalutazione di quello del padre, fin dalla nascita del bambino). Dall'altra parte c'era la rivendicazione della specificità femminile, attraverso la rivalutazione di quelli che da sempre erano considerati i tratti tipici delle donne: la spontaneità, la dolcezza, la capacità di vivere i sentimenti, la conoscenza dei problemi emotivi. A partire dalla fine degli anni '70, l'ondata di ribellione femminista può considerarsi in fase di ripiegamento. Ma i suoi effetti di ripensamento e di trasformazione del ruolo della donna sono tuttora largamente operanti.
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