20.11 Sommario
Negli ultimi anni dell'800, si fece strada tra le forze conservatrici italiane la tentazione di risolvere in senso autoritario le tensioni politiche e sociali. Essa si manifestò con la dura repressione militare dei moti per il pane del '98 e con il tentativo del governo Pelloux di far approvare delle leggi limitative delle libertà. La dura opposizione incontrata alla Camera e le elezioni del 1900 portarono a un mutamento di rotta, che (dopo l'assassimo di Umberto I) fu confermato dal nuovo re Vittorio Emanuele III.
Il governo Zanardelli-Giolitti (1901-3) si caratterizzò per alcune importanti riforme sociali e per la neutralità nel campo dei conflitti di lavoro. Quest'ultimo fatto favorì lo sviluppo delle organizzazioni sindacali, che a sua volta fu accompagnato da un brusco aumento degli scioperi (con la conseguenza di un notevole incremento dei salari operai e agricoli).
Negli ultimi anni del secolo iniziò il decollo industriale italiano, preparato - negli anni precedenti - dalla costruzione di una rete ferroviaria, dalla scelta protezionistica, dal riordinamento del sistema bancario. Lo sviluppo industriale, se non ridusse il divario con i paesi più ricchi, provocò però un aumento del reddito e un miglioramento del tenore di vita degli italiani. Cresceva - parallelamente - l'emigrazione, conseguenza di una sovrabbondanza della popolazione rispetto alle capacità produttive dell'agricoltura, che nel Mezzogiorno restava arretrata (provocando così un accentuarsi del divario con il Nord industrializzato).
Leggi speciali per il Mezzogiorno, statizzazione delle ferrovie, conversione della rendita, introduzione del suffragio universale maschile (1912), monopolio statale delle assicurazioni sulla vita rappresentarono i punti qualificanti della politica di Giolitti, che rimase a capo del governo, con alcune interruzioni, dal 1903 al 1914. Il suo riformismo non era privo di limiti, per il condizionamento delle forze conservatrici e per la costante attenzione di Giolitti a non modificare in senso eccessivamente democratico gli equilibri parlamentari; inoltre, la crisi economica del 1907 accrebbe, da un lato, le lotte sociali mentre, dall'altro, favorì un atteggiamento più duro delle associazioni padronali.
La "dittatura" di Giolitti - realizzata attraverso lo stretto controllo del Parlamento e l'intervento del governo, soprattutto al Sud, nelle competizioni elettorali - trovò molti critici fra le forze politiche (socialisti rivoluzionari, cattolici democratici, liberali-conservatori, meridionalisti) e soprattutto fra gli intellettuali.
Sul piano della politica estera, l'Italia si avvicinò, tra fine '800 e inizio '900, alla Francia. Mutò contemporaneamente l'atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti delle imprese coloniali, che cominciarono ad essere caldeggiate soprattutto dal nuovo movimento nazionalista. Proprio la campagna di stampa dei nazionalisti fu, con le pressioni degli interessi della finanza cattolica, tra i fattori che spinsero il governo all'intervento militare in Libia (1911). La guerra con la Turchia che ne seguì si concluse con l'imposizione della sovranità italiana sulla Libia.
Nel Psi la corrente riformista guardò con simpatia alla politica giolittiana. Presto crebbe però entro il partito la forza delle correnti di sinistra, in particolare dei sindacalisti rivoluzionari (questi ultimi ne uscirono nel 1907). La fondazione della Cgl (1906) segnò un rafforzamento della presenza riformista sul piano delle organizzazioni sindacali. Ma, dopo l'espulsione dei "revisionisti" nel 1912, il controllo del partito passò ai rivoluzionari, uno dei cui maggiori leader era Mussolini.
In età giolittiana si sviluppò, in campo cattolico, il movimento democratico-cristiano, condannato dal nuovo papa Pio X. Ebbero un grande sviluppo, contemporaneamente, le organizzazioni sindacali "bianche". Sul piano politico le forze clerico-moderate stabilirono alleanze elettorali, in funzione conservatrice, con i liberali: questa linea politica avrebbe avuto piena consacrazione, nelle elezioni del 1913, col "patto Gentiloni".
I mutamenti in atto nel sistema politico italiano alla vigilia della grande guerra (sviluppo del nazionalismo, accresciuto peso dei cattolici, prevalenza dei rivoluzionari nel Psi) segnavano la progressiva crisi della politica giolittiana, sempre meno in grado di controllare la radicalizzazione politica che si stava verificando (e di cui, nel ' 14, la "settimana rossa" fu un rilevante sintomo). In questa situazione la guerra avrebbe significato la fine del giolittismo.
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