22.6 La nuova politica economica
Nel marzo del 1921 si tenne a Mosca il X congresso del Partito comunista. Sul piano politico il congresso segnò la fine di ogni aperta dialettica all'interno del partito, vietando formalmente la costituzione di correnti organizzate. In materia economica fu abbandonato l'esperimento del comunismo di guerra, che stava suscitando una diffusa reazione di rigetto, e fu avviata una parziale liberalizzazione nella produzione e negli scambi.
La nuova politica economica (in sigla Nep) aveva l'obiettivo principale di stimolare la produzione agricola e di favorire l'afflusso dei generi alimentari verso le città. Ai contadini - che in regime di comunismo di guerra e di requisizioni forzate non avevano alcun interesse a produrre al di là delle proprie esigenze di sostentamento - si consentiva ora di vendere sul mercato le eventuali eccedenze, una volta che avessero consegnato agli organi statali una quota fissa dei raccolti (una specie di imposta in natura). La liberalizzazione si estese anche al commercio e alla piccola industria produttrice di beni di consumo. Lo Stato mantenne comunque il controllo delle banche e dei maggiori gruppi industriali.
Accolta con generale favore, come una necessaria pausa di respiro dopo le durezze del comunismo di guerra, la Nep ebbe conseguenze indubbiamente benefiche su un'economia del tutto stremata, ma produsse effetti sociali non previsti né desiderati dai suoi promotori. Nelle campagne i nuovi spazi concessi all'iniziativa privata stimolarono la ripresa produttiva, ma favorirono il riemergere del ceto dei contadini ricchi (i kulaki), che giunsero in breve a controllare il mercato agricolo. La liberalizzazione del commercio aumentò la disponibilità di beni di consumo, ma provocò la comparsa di una nuova classe di trafficanti (i cosiddetti nepmen) la cui ricchezza contrastava col basso tenore di vita della maggioranza della popolazione urbana. Se le piccole imprese realizzarono apprezzabili progressi, la grande industria di Stato stentava a riprendere slancio, anche per la ristrettezza del mercato interno.
In queste condizioni, l'industria non era in grado di dar lavoro a tutti quelli che ne avevano bisogno. Nelle città, che si andavano lentamente ripopolando, cresceva il numero dei disoccupati. Ma anche per i lavoratori occupati la vita non era facile. I salari, pagati nuovamente in denaro, erano in genere piuttosto bassi, mentre la contrattazione era resa difficile dall'assenza di una vera organizzazione sindacale. Proprio la classe operaia, protagonista della rivoluzione e principale sostegno del regime comunista, risultò così la maggiore sacrificata dalle scelte della Nep.
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