36. L'Italia dal miracolo economico ai giorni nostri
36.1 Il miracolo economico
Fra il 1958 e il 1963, giunse al culmine il processo di crescita economica iniziato in Italia dopo il 1950. Furono questi gli anni del miracolo economico: anni in cui l'Italia, con un tasso di sviluppo inferiore in Europa solo a quello tedesco, ridusse significativamente il divario che la separava dalla maggior parte dei paesi più industrializzati. Il prodotto interno lordo, che fra il '51 e il '58 era cresciuto a un tasso medio annuo del 5,3%, nel quinquennio successivo progredì ulteriormente a un ritmo del 6,5%. Il reddito pro-capite, che nel '51 era di 296.000 lire, raggiunse nel '63 le 536.000. Lo sviluppo interessò soprattutto l'industria manifatturiera, che nel '61 giunse a triplicare la sua produzione rispetto al periodo prebellico: un incremento particolarmente significativo si verificò nei settori siderurgico, meccanico e chimico, dove più ampio fu il rinnovamento degli impianti e delle tecnologie. L'aspetto più evidente del nuovo peso assunto dall'economia italiana era rappresentato dallo sviluppo delle esportazioni di prodotti industriali, soprattutto nei settori dell'abbigliamento e degli elettrodomestici. La diffusione dei prodotti italiani, la solidità della lira, la stabilità dei prezzi, ma anche alcuni eventi extraeconomici, come il successo organizzativo delle Olimpiadi di Roma nel '60, o le celebrazioni del centenario dell'Unità, nel '61, improntate a un generale ottimismo circa l'avvenire produttivo del paese: tutto contribuiva a rafforzare l'immagine di un'Italia ormai avviata stabilmente verso nuove prospettive di benessere.
Molti erano i fattori che avevano promosso il miracolo: la congiuntura internazionale favorevole; la politica di libero scambio avviata negli anni '50 e sancita dall'adesione alla Cee; la modesta entità del prelievo fiscale; e, soprattutto, lo scarto che si venne a creare fra l'aumento della produttività e il basso livello dei salari, il che consentì alti profitti e tassi di investimento molto elevati (il 20% del reddito nazionale fra il '51 e il '61). La compressione salariale degli anni '50 - premessa essenziale per l'avvio del miracolo italiano - era il risultato di una larga disponibilità di manodopera a basso costo: disponibilità dovuta, a sua volta, all'estesa disoccupazione e al costante flusso migratorio dalle zone depresse a quelle più progredite. L'agricoltura, che nel '51 assorbiva ancora quasi il 45% degli occupati, passava dieci anni dopo al 30% (e la percentuale sarebbe scesa ulteriormente negli anni successivi); l'industria saliva, nello stesso periodo, dal 29 al 37% e i servizi dal 27 al 32%. Fu dunque in questi anni che l'Italia divenne un paese industriale, non solo sotto l'aspetto della formazione del prodotto nazionale (già negli anni '30 la quota dell'industria aveva superato quella dell'agricoltura), ma anche sotto quello della forza-lavoro occupata.
Molto limitata fu, invece, la modernizzazione delle attività agricole, che mantennero in questo periodo un tasso di sviluppo modesto (circa il 3% contro il 9% dell'industria) e una scarsa produttività. L'agricoltura non riuscì quindi a rispondere positivamente all'accresciuta domanda della popolazione urbana e alla diffusione di nuove abitudini alimentari, come quella del consumo di carne, legate all'ascesa dei redditi delle famiglie.
La crescita dei consumi (non solo alimentari) fu resa possibile dall'aumento generalizzato delle retribuzioni che si verificò a partire dalla fine degli anni '50. Il calo della disoccupazione, conseguenza dello stesso sviluppo economico, accrebbe la capacità contrattuale dei lavoratori che, con una serie di lotte sindacali, riuscirono a ottenere notevoli miglioramenti salariali: fra il '58 e il '63, il costo del lavoro nell'industria aumentò di circa il 60%. Questi aumenti - necessari non solo per avvicinare i livelli retributivi italiani a quelli dei paesi più avanzati, ma anche per sviluppare il mercato interno - ebbero però l'effetto di ridurre i margini di profitto e di mettere in moto un processo inflazionistico. Così, nel 1963-64, il miracolo italiano entrò in crisi. Gli investimenti, che erano stati uno dei fattori propulsivi del boom, si ridussero drasticamente; e lo sviluppo subì una brusca frenata, accentuata dalla politica deflazionistica messa in atto dal governo e dalle autorità monetarie. La congiuntura negativa fu superata nel giro di pochi anni: a partire dal '66, la crescita riprese, anche se a ritmi più lenti. Ma intanto erano venuti in primo piano una serie di problemi economici e sociali legati agli squilibri e alle distorsioni del modello italiano di sviluppo.
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