1.2 Il congresso di Vienna e il nuovo assetto europeo
Apertosi ufficialmente il 1° novembre 1814 e conclusosi con la firma dell'atto finale il 9 giugno 1815 (pochi giorni prima della battaglia di Waterloo), il
congresso di Vienna fu il più importante e affollato consesso di sovrani e governanti che mai si fosse visto in Europa. I lavori si svolsero in una cornice di grande fasto e fornirono l'occasione per una lunga serie di ricevimenti, di balli e di spettacoli, che tradivano il desiderio delle corti e delle aristocrazie di dare a se stesse e agli altri il segno tangibile di un ritorno allo stile e ai modi di vita dell'ancien régime.
Al congresso intervennero più di duecento delegazioni, in rappresentanza di tutti gli Stati e staterelli d'Europa. Ma le decisioni più importanti vennero prese all'interno di un gruppo ristretto, di cui facevano parte i delegati delle quattro maggiori potenze vincitrici: il ministro degli Esteri Castlereagh per la Gran Bretagna, il diplomatico Nesselrode (affiancato, in qualche occasione, dallo stesso zar) per la Russia, il cancelliere Hardenberg per la Prussia, il ministro degli Esteri
Metternich - ospite e autentico regista del congresso - per l'Austria. In questo gruppo riuscì a inserirsi anche il rappresentante della Francia sconfitta, l'anziano e abilissimo Talleyrand. Uomo di grande esperienza politica e di eccezionale opportunismo (era stato vescovo sotto l'ancien régime, deputato nelle assemblee rivoluzionarie, stretto collaboratore di Napoleone, artefice del passaggio dei poteri dall'imperatore a Luigi XVIII), Talleyrand riuscì addirittura a diventare uno dei protagonisti del congresso, sfruttando i contrasti tra i vincitori e facendo valere a vantaggio del suo paese il principio di legittimità: il principio, cioè, in base al quale dovevano essere innanzitutto restaurati i diritti "legittimi" violati dalla rivoluzione, e dunque anche quelli dei Borbone di Francia.
Era del resto interesse delle stesse potenze vincitrici fare della Francia monarchica un pilastro del nuovo equilibrio conservatore, piuttosto che rischiare, umiliandola, di creare il terreno propizio per nuovi esperimenti rivoluzionari. La Francia si vide così confermato il trattamento di favore ottenuto col primo trattato di Parigi del 30 maggio 1814. Non solo non subì alcuna amputazione rispetto alle frontiere del 1791, ma conservò alcuni territori (come Avignone e parte della Savoia) conquistati nel periodo rivoluzionario. Anche dopo l'avventura napoleonica dei cento giorni e il secondo trattato di Parigi del 20 novembre 1815 - che le costò la perdita di una parte di quei territori e il pagamento di una forte indennità - la Francia non perse la propria integrità nazionale né la posizione di rilievo che occupava nel sistema delle potenze europee. La maggiore precauzione presa dai vincitori consistette nel costruire una barriera protettiva ai confini della Francia, rafforzando gli Stati vicini, come i Paesi Bassi, il Regno di Sardegna e la stessa Prussia.
Lo scopo degli statisti riuniti a Vienna era infatti non solo quello di cancellare le conseguenze degli eventi rivoluzionari dell'ultimo venticinquennio, ma anche quello di evitare il ripetersi di simili eventi, costruendo un equilibrio il più possibile solido e duraturo. Il nuovo equilibrio - raggiunto dopo una serie di laboriosi compromessi e non senza qualche momento di tensione fra i vincitori - fu realizzato in base a criteri tipicamente settecenteschi. Intere regioni passarono da uno Stato all'altro - spesso come "compensi" per altri territori ceduti - senza il minimo riguardo per i princìpi di nazionalità o per la volontà delle popolazioni interessate. Ma questi spostamenti comportarono ugualmente, come già si è accennato, una certa razionalizzazione della geografia politica europea. Scomparvero molti residui del passato (primo fra tutti il Sacro Romano Impero che, dissolto nel 1806, non fu più ricostituito). Gli Stati si ridussero notevolmente di numero. E i maggiori fra essi si vennero avvicinando al modello dello Stato moderno, caratterizzato, se non dalla compattezza etnica, almeno dalla continuità territoriale e dall'uniformità degli ordinamenti.
I mutamenti più importanti rispetto alla situazione prerivoluzionaria si verificarono nel Centro e nel Nord dell'Europa. La Russia, che aveva dato il maggior contributo militare alla vittoria su Napoleone, si espanse verso occidente, inglobando la Bessarabia (tolta all'Impero ottomano), buona parte della Polonia (compresi alcuni territori già assegnati alla Prussia nell'ultima spartizione) e il Granducato di Finlandia, ceduto dalla Svezia. La Svezia ebbe in compenso la Norvegia, tolta alla Danimarca che fu a sua volta compensata con i ducati di Schleswig e Lauenburg.
Anche la Prussia, come la Russia, si ingrandì espandendosi verso occidente. Cedette infatti alla Russia alcune regioni polacche, ma acquistò buona parte della Sassonia (il cui sovrano era rimasto fino all'ultimo fedele a Napoleone) e una serie di territori nella zona del Reno (fra gli altri Colonia, Treviri e il bacino della Ruhr) che si sarebbero poi rivelati di eccezionale importanza economica. Il regno degli Hohenzollern vide così accentuato il suo carattere di Stato nazionale (anche se privo di continuità territoriale) e acquistò una netta preminenza nell'area dei paesi di lingua tedesca. Questi si ridussero drasticamente di numero (da 360 a 39, comprese la Prussia e l'Austria) e furono riuniti in una Confederazione germanica, la cui presidenza era tenuta dall'imperatore d'Austria.
L'Impero asburgico - nonostante avesse visto ridimensionato, con le guerre napoleoniche, il suo ruolo di grande potenza - si affermò, sotto l'abile guida del Metternich, come il fulcro dell'equilibrio continentale e uscì dal congresso più forte e più compatto, pur conservando il suo carattere di Stato plurinazionale. La perdita del Belgio e del Lussemburgo che, uniti all'Olanda, formarono il Regno dei Paesi Bassi, fu compensata dall'acquisto del Veneto (che fu unito alla Lombardia nel Regno Lombardo-Veneto) e dal riconoscimento di un ruolo egemone sull'intera penisola italiana.
Quanto all'Italia, essa fu riportata, con poche varianti, alla situazione precedente alle guerre napoleoniche. La maggiore novità, oltre alla scomparsa delle antiche repubbliche di Genova, Venezia e Lucca, era appunto il rafforzamento dell'egemonia austriaca. Un'egemonia ottenuta non solo con la sovranità sul Lombardo-Veneto (che aveva una teorica autonomia amministrativa, mentre il Trentino e l'Istria dipendevano direttamente da Vienna), ma anche attraverso una serie di legami militari e dinastici con gli altri Stati della penisola. Sul trono granducale di Toscana era tornato Ferdinando III di Asburgo-Lorena, fratello di Francesco I d'Austria. A una figlia dello stesso Francesco I, l'ex imperatrice dei francesi Maria Luisa, fu assegnato a titolo vitalizio il Ducato di Parma e Piacenza, mentre il Ducato di Modena e Reggio andò a Francesco IV d'Asburgo-Este. Il Regno di Napoli - ricostituito sotto la dinastia dei Borbone e ribattezzato nel 1816 Regno delle due Sicilie - era legato all'Austria da un trattato di alleanza militare. Anche lo Stato pontificio, reintegrato nei suoi vecchi confini, dovette consentire all'Austria di mantenere guarnigioni a Ferrara e a Comacchio. L'unico fra gli Stati italiani a mantenere una certa autonomia rispetto all'Impero asburgico era il Regno di Sardegna, ingranditosi con l'acquisto di alcuni territori della Savoia e soprattutto di una regione ricca e popolosa come la Liguria.
Nessun mutamento di rilievo rispetto al periodo prenapoleonico si ebbe nella penisola iberica, dove furono naturalmente restaurate le monarchie di Spagna e Portogallo, né nei Balcani, dove l'Impero ottomano conservò i suoi territori, salvo le isole Ionie che furono affidate in protettorato alla Gran Bretagna. Quest'ultima, grazie anche all'acquisto dell'importantissima base di Malta (oltre che al possesso di Gibilterra), rafforzò così la sua presenza nel Mediterraneo.
In generale, la Gran Bretagna - che pure era stata l'anima di tutte le coalizioni antifrancesi e aveva sostenuto il maggior peso finanziario delle guerre contro Napoleone - non accampò pretese territoriali sul continente. Si preoccupò piuttosto di assicurare in Europa un equilibrio tale da impedire l'emergere di nuove ambizioni egemoniche, oltre che di consolidare la sua posizione di massima potenza marittima e di ampliare il suo impero coloniale mantenendo alcune conquiste effettuate a spese della Francia e dell'Olanda. Particolarmente importante fu l'acquisto del Capo di Buona Speranza e dell'isola di Ceylon, entrambi già colonie olandesi, in posizione strategica per il controllo delle rotte asiatiche e per la difesa dei già vasti possedimenti detenuti dalla Gran Bretagna in India.
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