16.9 Giolitti, i Fasci siciliani e la Banca romana
Figura centrale del successivo trentennio di storia italiana,
Giovanni Giolitti aveva cinquant'anni quando assunse per la prima volta la guida del governo: era nato nel 1842 ed era dunque troppo giovane per aver potuto partecipare alle lotte risorgimentali. Entrato in Parlamento nel 1882, dopo una brillante carriera nei ranghi dell'amministrazione statale, si era segnalato come critico severo della politica economica della Sinistra. Chiamato da Crispi a far parte del suo governo nel 1889 come ministro del Tesoro, si era dimesso un anno dopo perché in disaccordo con le eccessive spese varate dal governo. In politica finanziaria, Giolitti mirava a una più equa ripartizione del carico fiscale che risparmiasse i ceti disagiati e colpisse con aliquote più alte i redditi maggiori (secondo il principio, oggi universalmente accettato, della progressività delle imposte). Anche in politica interna - nonostante fosse difficile attribuirgli una collocazione precisa in termini di schieramenti parlamentari - aveva idee più avanzate di molti uomini politici che pure si richiamavano alla tradizione democratica: nel periodo in cui fu presidente del Consiglio e ministro degli Interni si astenne infatti da misure preventive (o indiscriminatamente repressive) nei confronti del movimento operaio e delle organizzazioni popolari.
Giolitti non venne meno a questa linea quando, fra il '92 e il '93, si sviluppò in Sicilia un vasto movimento di protesta sociale che sfociò nella formazione di una fitta rete di associazioni popolari. Queste organizzazioni, che presero il nome di Fasci dei lavoratori (il termine "fascio" stava per lega, unione) e si diffusero sia nei centri urbani sia nelle campagne, interpretavano soprattutto la protesta popolare contro le tasse troppo pesanti e contro il malgoverno locale e chiedevano per i contadini terre da coltivare e patti agrari più vantaggiosi. Non si trattava dunque di un movimento rivoluzionario, anche se diede luogo ad alcune manifestazioni violente (assalti ai municipi e ai caselli daziari), né di un movimento socialista in senso stretto, anche se era guidato da organizzatori di tendenza socialista. Lo sviluppo dei Fasci siciliani suscitò tuttavia forti preoccupazioni nella classe dirigente locale e fra i conservatori di tutta Italia, che intensificarono le loro pressioni su Giolitti perché adottasse nell'isola misure eccezionali. Giolitti resistette a queste pressioni, limitandosi a usare i tradizionali metodi di sorveglianza poliziesca.
L'ostilità dei conservatori - diffidenti anche nei confronti dei progetti giolittiani di riforma fiscale - contribuì non poco a indebolire il governo e ad accelerarne la caduta, che fu dovuta tuttavia alle conseguenze di un grave scandalo politico-finanziario, quello della Banca romana. La Banca romana era uno dei maggiori istituti di credito italiani, uno dei cinque che, assieme alla Banca nazionale, godevano del privilegio di stampare - dietro autorizzazione del ministero del Tesoro - biglietti a corso legale. Avendo impegnato somme cospicue nell'edilizia, negli anni in cui la capitale in rapida espansione era stata attraversata da una vera e propria febbre speculativa, si era poi trovata in serio imbarazzo quando, alla fine degli anni '80, la crisi economica aveva colpito il settore delle costruzioni facendo fallire molte delle imprese debitrici. Per uscire dalle difficoltà, i dirigenti della banca si erano resi colpevoli di gravissime irregolarità. Queste irregolarità - già scoperte nel 1889 da una commissione d'inchiesta amministrativa, ma tenute segrete dal governo Crispi - furono rivelate alla Camera nel dicembre 1892 dal deputato radicale Napoleone Colajanni. Una successiva inchiesta parlamentare rivelò il pericoloso intreccio che legava il mondo politico e giornalistico agli ambienti della speculazione edilizia e bancaria. Molti deputati e giornalisti erano stati finanziati, anche dopo l'89, dalla Banca romana; e di essa si era servito lo stesso governo - con Crispi come con Giolitti - per ottenere anticipazioni di denaro che serviva a influenzare la stampa e l'opinione pubblica in occasione delle campagne elettorali.
Giolitti si trovò allora in una posizione quanto mai delicata: accusato di aver coperto le irregolarità della banca in quanto ministro del Tesoro nel governo Crispi, fu costretto a dimettersi nel dicembre 1893. Le accuse rivolte a Giolitti non erano prive di fondamento. È anche vero, però, che esse furono manovrate dai gruppi conservatori e dallo stesso Crispi per sbarazzarsi di un presidente del Consiglio giudicato troppo debole. Non altrimenti si spiegherebbe come mai a sostituire Giolitti fosse richiamato proprio Crispi, che nello scandalo bancario aveva responsabilità ancora più pesanti. Ciò che in realtà si invocava non era tanto lo sbandierato risanamento della vita pubblica, quanto l'avvento dell'"uomo forte", capace di rimettere ordine nel paese e di arrestare la crescita del movimento operaio.
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