22. La rivoluzione russa
22.1 Da febbraio a ottobre
Fra tutti gli sconvolgimenti politici e sociali provocati dalla prima guerra mondiale, la rivoluzione russa fu non soltanto il più violento e traumatico, ma anche il più imprevisto, almeno nei suoi sviluppi. In realtà, già prima dello scoppio del conflitto, erano in molti a pensare che il regime assolutistico degli zar non potesse resistere a lungo e fosse destinato ad essere sostituito da forme di governo più adeguate ai tempi. Pochissimi, però, immaginavano che la caduta della monarchia avrebbe dato luogo al più grande evento rivoluzionario mai verificatosi nel mondo dopo la rivoluzione francese.
Quando, nel marzo 1917 (febbraio per il calendario russo), il regime zarista fu abbattuto dalla rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado (
21.9), la successione fu assunta da un governo provvisorio di orientamento liberale, costituito per iniziativa dei membri della Duma e presieduto da un aristocratico, il principe Georgij L'vov. Obiettivo dichiarato del governo era quello di continuare la guerra a fianco dell'Intesa e di promuovere nel contempo l'"occidentalizzazione" del paese sul piano delle strutture politiche e dello sviluppo economico. Condividevano questa prospettiva non solo i gruppi liberal-moderati che facevano capo al partito dei cadetti, ma anche i menscevichi, che si ispiravano ai modelli della socialdemocrazia europea, e i socialisti rivoluzionari, che avevano solide radici nella società rurale russa e interpretavano le aspirazioni delle masse contadine a una radicale riforma agraria. I socialrivoluzionari erano divisi in correnti molto eterogenee (si andava dai democratico-radicali come Aleksandr Kerenskij agli anarchici ancora legati ai metodi terroristici), ma quasi tutti ritenevano inevitabile il passaggio attraverso una fase democratico-borghese. Per questo accettarono, con i menscevichi, di far parte del secondo governo provvisorio costituito da L'vov nel maggio '17, in cui Kerenskij assunse il ministero della Guerra. Gli unici a rifiutare ogni partecipazione al potere furono i bolscevichi, convinti che solo la classe operaia, alleata agli strati più poveri delle masse rurali, avrebbe potuto assumersi la guida della trasformazione del paese. Ma anch'essi, colti di sorpresa dallo scoppio della rivoluzione, assunsero sulle prime una posizione di attesa.
Il consenso, o la neutralità, di tutte le forze politiche antizariste non furono tuttavia sufficienti per fondare su solide basi il potere del governo provvisorio e per evitare che alla caduta del vecchio regime seguisse il completo sgretolamento dell'autorità centrale. Come già era accaduto nella rivoluzione del 1905, al potere "legale" del governo si era subito affiancato e sovrapposto il potere di fatto dei soviet: soprattutto di quello della capitale, che agiva come una specie di parlamento proletario, emanando ordini spesso in contrasto con le disposizioni governative. Quello che la rivoluzione aveva ormai messo in moto era, secondo le parole dello storico Edward H. Carr, "un movimento di massa animato da un entusiasmo enorme e da visioni utopistiche di emancipazione dell'umanità dai ceppi di un potere remoto e dispotico; questo movimento non sapeva che farsene dei princìpi occidentali di democrazia parlamentare e di governo costituzionale proclamati dal governo provvisorio. L'idea di un'autorità centrale era tacitamente respinta. Soviet locali di operai o di contadini spuntarono in tutta la Russia, e talune città o distretti si dichiararono repubbliche sovietiche; comitati operai di fabbrica rivendicavano un'autorità esclusiva sulla loro sfera; i contadini si impadronivano della terra e se la dividevano. E su tutto incombeva il desiderio di pace, il desiderio che avessero fine gli orrori di una guerra sanguinosa e insensata".
Questa era la situazione nell'aprile del '17, quando
Lenin, leader dei bolscevichi, rientrò in Russia dalla Svizzera dopo un avventuroso viaggio attraverso l'Europa in guerra. Il viaggio era stato reso possibile dalla copertura delle autorità tedesche che, conoscendo le idee di Lenin sulla guerra, speravano di indebolire, col suo arrivo, la posizione di quanti in Russia si battevano per la prosecuzione del conflitto. Non appena giunto a Pietrogrado, Lenin diffuse un documento in dieci punti (le cosiddette "tesi di aprile") in cui rifiutava la diagnosi corrente sul carattere "borghese" della fase rivoluzionaria in atto e poneva in termini immediati il problema della presa del potere, rovesciando la teoria marxista ortodossa, secondo cui la rivoluzione proletaria sarebbe scoppiata prima nei paesi più sviluppati, come risultato delle contraddizioni del sistema capitalistico giunto al suo ultimo stadio: era invece la Russia, in quanto "anello più debole" della catena imperialista, a offrire le condizioni più favorevoli per la messa in crisi del sistema. Per l'immediato, l'obiettivo era quello di conquistare la maggioranza nei soviet e di lanciare le parole d'ordine della pace, della terra ai contadini poveri, del controllo sociale della produzione da parte dei consigli operai.
Questo programma poteva apparire utopico ed estremistico (e tale apparve persino a molti fra i leader bolscevichi); ma rispecchiava in qualche modo lo stato d'animo prevalente fra le masse operaie e contadine. Certo è che, una volta schieratosi su questa linea, il Partito bolscevico riuscì ad allargare sensibilmente l'area dei suoi consensi. Al tempo stesso si allargava però la frattura con gli altri gruppi socialisti che avevano accettato di partecipare al governo di coalizione e di collaborare alla prosecuzione dello sforzo bellico. Il primo episodio di esplicita ribellione al governo provvisorio si ebbe a Pietrogrado a metà luglio, quando soldati e operai armati scesero in piazza per impedire la partenza per il fronte di alcuni reparti. I bolscevichi, che all'inizio non avevano approvato l'iniziativa, cercarono successivamente di assumerne il controllo. Ma l'insurrezione fallì per l'intervento di truppe fedeli al governo. Alcuni leader bolscevichi furono arrestati o, come lo stesso Lenin, costretti a fuggire.
Per i moderati fu questo l'ultimo successo. In agosto il principe L'vov si dimise e fu sostituito alla guida del governo da
Kerenskij. Il nuovo presidente del Consiglio era però screditato dal fallimento dell'offensiva contro gli austro-tedeschi da lui promossa in luglio; e i suoi tentativi di portare avanti una politica personale gli avevano alienato sia le simpatie del suo stesso partito, il socialrivoluzionario, sia l'appoggio dei moderati che ormai gli contrapponevano apertamente il nuovo uomo forte della situazione, il comandante dell'esercito generale Kornilov.
Ai primi di settembre Kornilov lanciò un ultimatum al governo chiedendo il passaggio dei poteri alle autorità militari. Kerenskij reagì facendo appello alle forze socialiste, compresi i bolscevichi. Si distribuirono armi alla popolazione e si incitarono alla rivolta le truppe di Kornilov. Il tentativo di colpo di Stato militare fu così stroncato. Ma ad uscire rafforzati dalla vicenda furono soprattutto i bolscevichi, principali protagonisti della mobilitazione popolare, che conquistarono la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca. Per Lenin, rientrato clandestinamente in patria, i tempi erano maturi per rilanciare la parola d'ordine "tutto il potere ai soviet" e per preparare l'insurrezione contro il governo provvisorio.
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