34.9 La Chiesa cattolica e il Concilio Vaticano II
Come la società borghese, laica e positivista di metà '800, anche la società opulenta e consumista sviluppatasi dopo il secondo conflitto mondiale trovò un critico severo e un avversario tenace nella Chiesa di Roma. I cattolici costituivano ancora, negli anni '60, la più numerosa fra le comunità religiose, con oltre 500 milioni di fedeli sparsi in tutto il mondo. Ma non potevano non guardare con preoccupazione al progressivo declino delle pratiche religiose tradizionali nelle aree industrializzate, all'affermarsi di mentalità e valori tipicamente materialisti, al diffondersi di comportamenti e di costumi (soprattutto in materia di rapporti sessuali e di contraccezione) contrari agli insegnamenti della Chiesa. Questa volta però la reazione non si espresse, come un secolo prima, in un arroccamento dottrinario, in una chiusura quasi totale alle novità del mondo esterno, ma sfociò in un tentativo di rinnovamento interno, accompagnato da una maggiore attenzione alla mutata realtà sociale e internazionale.
Il nuovo corso ebbe inizio col pontificato di
Giovanni XXIII, salito al soglio nel 1958 dopo la morte di Pio XII. Diversamente dal suo predecessore - che aveva legato il suo pontificato alla riaffermazione dei dogmi tradizionali, alla lotta frontale contro il comunismo e anche a un'accentuata ingerenza nella politica italiana - il nuovo papa, che pure non era affatto un innovatore in materia dottrinaria, cercò di rilanciare il ruolo ecumenico della Chiesa e di instaurare un dialogo con le realtà esterne, o addirittura ostili, al mondo cattolico. In questo fu favorito sia dal suo indubbio carisma personale (legato alla sua immagine bonaria e rassicurante e alla sua stessa origine contadina), sia dalla congiuntura internazionale di quegli anni: gli anni di Kruscёv e Kennedy e della distensione fra le due superpotenze.
La svolta impressa alla politica vaticana da Giovanni XXIII fu sancita in due celebri encicliche. Nella prima, la Mater et magistra del '61, il papa si richiamava alla Rerum novarum di Leone XIII per rilanciare il filone sociale del pensiero cattolico, per condannare l'egoismo dei ceti privilegiati e dei paesi ricchi, per incoraggiare, pur nella persistente condanna delle ideologie e dei regimi socialisti, il riformismo politico ed economico. La seconda enciclica, la Pacem in terris del '63, era invece dedicata soprattutto ai rapporti internazionali e conteneva, oltre a un appello al negoziato fra le potenze e alla cooperazione fra i popoli, e a una significativa apertura verso i paesi di nuova indipendenza, anche una proposta di dialogo con le religioni non cattoliche e con gli stessi non credenti.
Ma l'atto più importante del pontificato giovanneo fu la convocazione di un Concilio ecumenico, il
Vaticano II, a quasi cent'anni di distanza dal precedente (il Vaticano I del 1870) che aveva segnato il momento di più rigida chiusura e di più grave isolamento della Chiesa di Roma. Apertosi nell'ottobre 1962, pochi mesi prima della morte di Giovanni XXIII, il Concilio si prolungò per oltre tre anni (fino al dicembre '65) sotto il pontificato di
Paolo VI, che continuò e consolidò, sia pure con uno stile più cauto e più "diplomatico", la svolta avviata dal suo predecessore. Dal Concilio la Chiesa uscì riformata, anche se non radicalmente trasformata, sia nell'organizzazione interna (per il maggior peso assunto dal collegio dei vescovi rispetto al papa e alla Curia romana), sia nella liturgia (l'innovazione più importante fu l'introduzione della messa in volgare, per consentire una maggior partecipazione dei fedeli al rito). Sul piano strettamente dottrinario, non vi furono novità di grande rilievo. Ma fu ribadita l'importanza delle Sacre Scritture come fonti prime della rivelazione e fu affermata la necessità del dialogo con le altre religioni e in particolare con le altre chiese cristiane (presenti al Concilio con loro osservatori), in vista di una possibile futura riunificazione della cristianità.
I nuovi fermenti introdotti nella Chiesa dal Concilio - e prima ancora dalle encicliche di Giovanni XXIII - suscitarono in molti paesi nuove correnti e nuovi movimenti che, andando spesso al di là delle indicazioni della gerarchia ecclesiastica, cercarono di coniugare il messaggio cattolico con un più accentuato impegno nelle lotte sociali, approdando in molti casi a posizioni apertamente rivoluzionarie. Gruppi di cattolici del dissenso si formarono in Italia e in Francia alla fine degli anni '60; e spesso andarono a confluire nei partiti di sinistra o nelle file dei movimenti nati dalle lotte studentesche del '68. In America Latina, la partecipazione di sacerdoti e gruppi cattolici alla lotta contro le dittature e le oligarchie conservatrici fu addirittura all'origine di una nuova teologia (la "teologia della liberazione"), che reinterpreta il messaggio cristiano e le stesse Scritture nel quadro di una concezione marxista della storia. Questa teologia è stata ufficialmente condannata dalla Chiesa, ma ha conservato una certa influenza su una parte del clero latino-americano, anche dopo il generale riflusso del dissenso cattolico in Europa.
Una nuova svolta nella storia della Chiesa si ebbe nel 1978, quando salì al soglio pontificio, col nome di
Giovanni Paolo II, il cardinale polacco Karol Wojtyla, il primo papa non italiano dopo quattro secoli e mezzo. Il pontificato di Giovanni Paolo II si è caratterizzato, da un lato, per una intransigente difesa dei dogmi e dei culti tradizionali; dall'altro, per il crescente dinamismo, sottolineato dai frequenti viaggi, con cui il papa ha rilanciato la presenza e l'immagine della Chiesa nella società contemporanea.
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