26.4 Il Terzo Reich
Con l'assunzione della presidenza da parte di Hitler scomparivano anche le ultime tracce del sistema repubblicano. Nasceva il
Terzo Reich, il terzo Impero (dopo il Sacro Romano Impero medioevale e quello nato nel 1871). Nel nuovo regime si realizzava pienamente quel "principio del capo" (Führerprinzip) che costituiva un punto cardine della dottrina nazista. Il capo (Führer è l'equivalente tedesco di "duce") non era soltanto colui al quale spettavano le decisioni più importanti, ma anche la fonte suprema del diritto; non era solo la guida del popolo, ma anche colui che sapeva esprimerne le autentiche aspirazioni. Era insomma fornito di quel potere che Max Weber, ai primi del secolo, aveva definito carismatico, in quanto fondato su un dono, su una presunta qualità straordinaria (appunto il carisma), di cui il capo sarebbe dotato, sulla consapevolezza di una missione da compiere in nome di tutto il popolo. Il rapporto fra capo e popolo doveva essere diretto, al di là di ogni mediazione istituzionale e di ogni forma di rappresentanza. L'unico tramite con le masse era costituito dal partito unico e da tutti gli organismi ad esso collegati: come il Fronte del lavoro, che sostituiva i disciolti sindacati, o come le organizzazioni giovanili che facevano capo alla Hitlerjugend (gioventù hitleriana). Compito di queste organizzazioni era di trasformare l'insieme dei cittadini in una comunità di popolo compatta e disciplinata. Dalla "comunità di popolo" erano esclusi per definizione gli elementi "antinazionali", i cittadini di origine straniera o di discendenza non "ariana" e soprattutto gli ebrei, investiti del ruolo di polo negativo, di capro espiatorio, di obiettivo predeterminato del malcontento popolare.
Gli ebrei erano allora in Germania una ristretta minoranza: circa 500.000 su una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti. Ma, diversamente da quanto accadeva nei paesi dell'Europa orientale, erano concentrati in prevalenza nelle grandi città (quasi 200.000 nella sola Berlino) e, pur non facendo parte della classe dirigente tradizionale, occupavano le zone medio-alte della scala sociale: erano per lo più commercianti, liberi professionisti (un terzo dei medici e degli avvocati delle grandi città erano ebrei), intellettuali e artisti; parecchi avevano posizioni di prestigio nell'industria e nell'alta finanza. Nei confronti di questa minoranza attivamente inserita nella comunità nazionale (oltre 100.000 ebrei avevano combattuto nell'esercito tedesco nella grande guerra), la propaganda nazista riuscì a risvegliare quei sentimenti di ostilità - contro la diversità etnica e religiosa e contro il presunto privilegio economico - che erano largamente diffusi, soprattutto fra le classi popolari, in tutta l'Europa centro-orientale.
La discriminazione fu ufficialmente sancita, nel settembre 1935, dalle cosiddette leggi di Norimberga che tolsero agli ebrei la parità dei diritti conquistata nel '48 e proibirono i matrimoni fra ebrei e non ebrei (largamente diffusi nella Germania prenazista). Alla discriminazione "legale" si accompagnava una crescente emarginazione dalla vita sociale: il che spinse molti ebrei - circa 200.000 fra il '33 e il '39 - ad abbandonare la Germania. La persecuzione antisemita subì un'ulteriore accelerazione a partire dal novembre 1938, quando, traendo pretesto dall'uccisione di un diplomatico tedesco a Parigi per mano di un ebreo, i nazisti organizzarono un gigantesco pogrom in tutta la Germania. Quella fra l'8 e il 9 novembre '38 fu chiamata "notte dei cristalli" per via delle molte vetrine di negozi appartenenti a ebrei che furono infrante dalla furia dei dimostranti. Ma vi furono conseguenze ben più gravi: sinagoghe distrutte, abitazioni devastate, decine di ebrei uccisi e migliaia arrestati. Da allora in poi per gli ebrei rimasti in Germania la vita divenne pressoché impossibile: taglieggiati nei loro beni, privati del lavoro, accusati di cospirare contro il Reich e dunque minacciati di nuove violenze e di nuove misure repressive. Finché, a guerra mondiale già iniziata, Hitler non concepì il progetto mostruoso di una soluzione finale del problema: soluzione che prevedeva la deportazione in massa e il progressivo sterminio del popolo ebraico.
La persecuzione antiebraica fu certo la manifestazione più vistosa e più orribile della politica razziale nazista, ma non fu l'unica. Essa si inquadrava in un più vasto programma di "difesa della razza" che prevedeva, fra l'altro, la sterilizzazione forzata per i portatori di malattie ereditarie e la soppressione degli infermi di mente classificati come incurabili. Pratiche che erano sconosciute alla civiltà occidentale, anche perché incompatibili con i fondamenti dell'etica cristiana, ma che il nazismo considerava essenziali per mantenere la sanità e l'integrità del "popolo eletto". Il mito della razza occupò un posto centrale nella teoria e nella prassi del nazismo: la stessa idea dello Stato - che era invece fondamentale nella dottrina del fascismo italiano - aveva, rispetto a quella della razza, una funzione del tutto secondaria. Il tratto "demoniaco" dell'esperienza nazista sta nell'avere inseguito questo mito con brutale coerenza.
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