30.8 La rivoluzione comunista in Cina
Un punto di svolta fondamentale nel confronto fra "mondo socialista" e "mondo capitalistico" si ebbe nel 1949, con l'avvento al potere dei comunisti in Cina: un evento che alterò profondamente i rapporti di forza complessivi e diede una nuova dimensione planetaria al confronto fra i due sistemi. Se per questo aspetto la rivoluzione cinese si colloca nell'ambito della guerra fredda, per altro verso essa segna il punto di raccordo con l'altro grande processo messo in moto dalla seconda guerra mondiale, quello della decolonizzazione. La rivoluzione segnò infatti non solo la definitiva rinascita della Cina come Stato indipendente e come grande potenza (comprendente da sola un quarto della popolazione mondiale), ma anche la progressiva affermazione di un modello di società comunista distinto da quello russo e destinato a esercitare una certa attrazione sui paesi ex coloniali.
La precaria alleanza che i comunisti di Mao Tse-tung e i nazionalisti di Chang Kai-shek avevano stretto nel '37 (
28.4) contro l'aggressione giapponese, entrò in crisi con lo scoppio della guerra nel Pacifico. A partire dal '41, profittando dell'impegno giapponese contro gli Stati Uniti, il governo di Chang cominciò a trascurare la lotta contro gli occupanti stranieri (come già era accaduto nella prima metà degli anni '30), per prepararsi invece alla resa dei conti coi comunisti, che occupavano e amministravano ampie zone dell'interno. Tutto questo però non faceva che aumentare il discredito di un regime che aveva ormai perso il contatto con gli strati più dinamici della società e si era ridotto a espressione dei proprietari terrieri; un regime che, mentre si mostrava incapace di fare la guerra ai giapponesi (i pochi scontri aperti, nel '43-'44, si risolsero in disastrose sconfitte), concentrava le sue risorse nella repressione del dissenso interno; un regime in cui la corruzione aveva raggiunto livelli incredibili, coinvolgendo grandi e piccoli funzionari, ministri e generali. Al contrario, nei territori da loro controllati, i comunisti non solo combatterono un'efficace guerriglia contro i giapponesi, ma (seguendo la strategia indicata da Mao) seppero anche rafforzare i loro legami con le masse contadine e con gli stessi ceti medi, attuando ampie e graduali riforme agrarie e dando prova di onestà ed efficienza nei rapporti con la popolazione.
A guerra terminata, gli Stati Uniti, consapevoli della debolezza e del discredito dei nazionalisti, cercarono di promuovere un nuovo accordo fra comunisti e Kuomintang. Ma Chang Kai-shek, che sapeva di poter contare comunque sull'appoggio Usa, rifiutò ogni compromesso e lanciò contro i comunisti una campagna militare in grande stile, utilizzando gli aiuti ricevuti dagli alleati durante e dopo la guerra. In un primo tempo (1946-47), i nazionalisti ebbero il sopravvento, occupando vaste zone già controllate dagli avversari. Ma i comunisti - nonostante fossero poco aiutati dall'Urss, che continuò fino all'ultimo a riconoscere il regime di Chang - riuscirono a riorganizzarsi e a contrattaccare, contando sull'appoggio della popolazione contadina, che consentiva loro di usare le tecniche della guerriglia. Nel corso del '48, le sorti della guerra si rovesciarono. Le forze di Chang Kai-shek, poco motivate e poco disciplinate, prive di sostegno popolare e disperse su un territorio troppo vasto, cominciarono a sbandarsi o a disertare, mentre l'esercito di Mao si rafforzava anche sul piano militare. Nel febbraio '49, i comunisti entrarono a Pechino. Chang Kai-shek, con quanto restava del governo e dell'esercito nazionalista, riparò, sotto la protezione della flotta americana, nell'isola di Taiwan (Formosa), da dove non cessò mai di sognare la riconquista.
Il 1° ottobre 1949 fu proclamata a Pechino la nascita della Repubblica popolare cinese, subito riconosciuta dall'Urss e dalla Gran Bretagna, ma non dagli Stati Uniti, che continuarono a considerare come legittimo governo cinese quello di Taiwan (che occupò, fino al 1971, il seggio della Cina all'Onu). La nuova Repubblica a guida comunista procedette subito a radicali misure di socializzazione (le banche e le grandi e medie industrie furono nazionalizzate, così come il commercio con l'estero, mentre la terra fu distribuita fra i contadini) pur lasciando, in un primo tempo, un limitato spazio al settore privato. Nel febbraio 1950, la Cina di Mao stipulò con l'Unione Sovietica un trattato di amicizia e di mutua assistenza. Il "campo socialista" allargava così i suoi confini al più vasto e popoloso Stato dell'Asia. La sfida al mondo capitalistico diventava più ampia e più temibile.
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