25.10 La cultura della crisi
Anche per la cultura europea, gli anni '20 e '30 furono anni di crisi e di mutamenti profondi. Si accentuarono in questo periodo i fenomeni di disgregazione e di perdita dell'unità che già si erano delineati negli anni precedenti il primo conflitto mondiale. Le maggiori scuole di pensiero sorte dopo la guerra (il neopositivismo e la fenomenologia, l'esistenzialismo, lo spiritualismo cattolico e le varie correnti del marxismo) avevano metodologie e interessi molto distanti fra loro e procedettero ciascuna per proprio conto senza molto influenzarsi vicendevolmente.
Un discorso analogo si può fare per la letteratura, per le arti figurative, per la musica. Proseguì in questi anni la tendenza alla rottura delle forme canoniche e la ricerca, a volte esasperata, di nuovi moduli espressivi. Continuò la stagione delle grandi correnti d'avanguardia, che trovarono un pubblico più ampio e disponibile che in passato in una società delusa e disorientata come quella postbellica. Ai movimenti già affermatisi prima della grande guerra (l'astrattismo e il cubismo, il futurismo e l'espressionismo) se ne aggiunsero altri nuovi come il surrealismo, lanciato nel 1924 da un gruppo di intellettuali francesi (André Breton, Louis Aragon, Paul Éluard) che vedevano nell'arte l'espressione delle tendenze profonde dell'inconscio e predicavano, in arte come in politica, la lotta contro ogni forma di convenzione borghese. Ma nessuna di queste correnti giunse ad affermarsi sulle altre, nessuna può essere scelta come particolarmente rappresentativa di un'epoca e di una temperie culturale. Non è forse un caso se due fra le maggiori personalità dell'epoca rispettivamente nel campo pittorico e in quello musicale, Pablo Picasso e Igor Stravinskij, non si identificarono con una sola corrente d'avanguardia, ma piuttosto le attraversarono e le utilizzarono tutte con straordinario eclettismo. Consideriamo anche i grandi capolavori della narrativa apparsi nel periodo fra le due guerre: gli ultimi volumi della Ricerca del tempo perduto di Marcel Proust uscirono a guerra appena terminata, come molti dei racconti e romanzi di Franz Kafka; l'Ulisse di James Joyce è del 1922, La Montagna incantata di Thomas Mann del 1924, mentre L'Uomo senza qualità di Robert Musil fu pubblicato all'inizio degli anni '30. Queste opere hanno fra loro poco di simile, salvo il fatto di rappresentare i problemi e le angosce dell'uomo del XX secolo, di esprimere in modi molto diversi (ora restando, come Mann, nel solco della tradizione del romanzo ottocentesco, ora forzando, come Joyce, strutture letterarie e convenzioni linguistiche) la rottura dell'universo borghese che aveva fatto da sfondo e da sostrato alla grande narrativa del secolo XIX.
Un ulteriore elemento di crisi e di disgregazione della cultura europea di questi anni fu indubbiamente rappresentato dalle divisioni politico-ideologiche. Anche se le loro opere non recavano spesso alcuna traccia visibile delle vicende sociali contemporanee (e apparivano invece come distaccate e ripiegate sulla sperimentazione formale e sull'introspezione psicologica), letterati e artisti furono fortemente coinvolti nelle grandi contrapposizioni fra liberalismo borghese e comunismo marxista, fra fascismo e democrazia. L'impegno politico non era certo una cosa nuova per gli intellettuali europei. Ma ciò che accadde negli anni fra le due guerre fu un fenomeno più esteso e più carico di implicazioni. Gli intellettuali furono chiamati sempre più spesso non solo a testimoniare, ma a parteggiare apertamente, a prendere posizione su singoli problemi (fu allora che si diffuse l'uso dei pubblici manifesti e degli appelli firmati da personalità della cultura); furono mobilitati, e spesso utilizzati spregiudicatamente, da partiti e governi; si divisero secondo linee di contrapposizione che ricalcavano gli schieramenti politico-ideologici: se la cultura liberale aveva i suoi maggiori punti di riferimento in Benedetto Croce e in Thomas Mann, se i comunisti potevano vantare illustri "compagni di strada" come Picasso e Gorkij, André Gide e Romain Rolland, anche la destra autoritaria poteva mettere in campo personaggi prestigiosi: i filosofi Giovanni Gentile e Martin Heidegger (uno dei padri dell'esistenzialismo), il giurista e politologo tedesco Carl Schmitt, il poeta americano Ezra Pound, per citare solo i più noti. Parve a molti che gli intellettuali, lasciandosi coinvolgere così a fondo nelle contese politiche, tradissero in qualche modo la loro missione, che abdicassero al loro ruolo di guida delle coscienze per adattarsi a quello di propagandisti.
Divisa e lacerata dalla radicalizzazione ideologica e politica, la cultura europea subì anche in modo diretto e drammatico le conseguenze dell'avvento dei regimi totalitari. Se la dittatura staliniana provocò la scomparsa fisica di una parte non trascurabile dell'intellettualità russa (una perdita che si aggiunse alla cospicua "fuga di cervelli" verificatasi dopo la rivoluzione del '17), il regime nazista in Germania costrinse all'esilio centinaia di intellettuali, soprattutto ebrei. Molti si rifugiarono in Francia, in Gran Bretagna, in Svizzera. Ma i più scelsero come meta della loro emigrazione gli Stati Uniti. Qui approdarono, fra il '33 e il '39, grandi scrittori come Thomas Mann e Bertolt Brecht, musicisti come Paul Hindemith e Arnold Schönberg, padre della musica dodecafonica, pittori come George Grosz e architetti come Walter Gropius, fondatore del Bauhaus (la più importante scuola di architettura fiorita in Germania fra le due guerre). Si trasferirono in America celebri psicanalisti (fra gli altri Adler e Fromm) e molti fra i maggiori sociologi e scienziati politici (come Mannheim, Neumann, Marcuse). A lasciare l'Europa fu dunque il nucleo più importante della vivacissima e avanzatissima cultura fiorita nella Germania di Weimar. Emigrarono infine negli Stati Uniti numerosi e illustri scienziati: da Albert Einstein, patriarca della scienza moderna, a molti fisici della generazione più giovane, impegnati nelle ricerche sull'atomo. A questi si aggiunse, nel '39, Enrico Fermi, premio Nobel per la fisica, emigrato per protesta contro l'introduzione delle leggi razziali in Italia. La cultura e la scienza europee subirono così, negli anni '30, un'emorragia di grandi proporzioni: dopo quello economico, anche il centro culturale del mondo industrializzato cominciava a dislocarsi al di là dell'Atlantico.
Torna all'indice