7.9 La Francia dalla Seconda Repubblica al Secondo Impero
Portato al potere da una coalizione di conservatori, clericali e moderati ex orleanisti, Luigi Napoleone Bonaparte mostrò subito di voler mantenere gli impegni assunti col "partito dell'ordine". Un notabile orleanista, Odilon Barrot, fu chiamato a presiedere il nuovo governo. Il ministero della Pubblica istruzione e dei culti fu affidato a un clericale. I repubblicani erano ancora in maggioranza all'Assemblea costituente. Ma questa aveva ormai esaurito il suo compito e, in aprile, dovette sciogliersi per lasciare il posto a una normale assemblea legislativa. Le elezioni, che si tennero il 13 maggio '49, rivelarono quanto la situazione fosse mutata rispetto a un anno prima. L'ondata di riflusso da tempo in atto soprattutto nelle campagne portò nella nuova Camera una solida maggioranza clerico-conservatrice (quasi 500 deputati su 750), cui si contrapponeva un'agguerrita minoranza di circa 200 repubblicani della tendenza più decisa. Scomparivano quasi dalla scena i repubblicani moderati.
Una delle prime conseguenze delle elezioni fu la decisione del governo di affrettare i tempi dell'intervento militare contro la Repubblica romana. Contro questa decisione protestarono i democratici che, il 13 giugno, organizzarono una manifestazione nella capitale. Il successo della manifestazione fu scarso, ma ugualmente energica fu la repressione: molti capi democratici furono arrestati o, come Ledru-Rollin, costretti a fuggire all'estero. Anche nei mesi successivi la destra conservatrice continuò a segnare punti al suo attivo. Nel 1850 fu varata una nuova legge sull'istruzione, che riapriva al clero le porte della scuola e dell'università, e furono aumentate le tasse sulle imprese giornalistiche (una misura che colpiva soprattutto le piccole testate). Nello stesso anno, una nuova legge elettorale privava del diritto di voto circa tre milioni di elettori nullatenenti. A questo punto, però, l'alleanza fra il presidente e la maggioranza moderata cominciò a incrinarsi. I gruppi conservatori, che avevano favorito l'elezione di Bonaparte in quanto ritenevano di poterlo controllare facilmente, guardavano con sospetto a un eccessivo rafforzamento del suo potere personale. Nel luglio del '51, la Camera respinse la proposta di modificare quell'articolo della costituzione che impediva la rielezione di un presidente alla scadenza del mandato.
Ma, pochi mesi dopo, un colpo di Stato attuato con l'appoggio dell'esercito consentì a Bonaparte di sbarazzarsi contemporaneamente della maggioranza moderata e dell'opposizione democratica. Il 2 dicembre 1851 la Camera fu occupata dalle truppe e sciolta d'autorità. Oltre diecimila oppositori furono arrestati e deportati oltremare. La resistenza dei quartieri popolari di Parigi e i tentativi isolati di insurrezione in provincia furono facilmente repressi dall'esercito. Un plebiscito a suffragio universale indetto il 21 dicembre sanzionò a maggioranza schiacciante (7 milioni e mezzo di voti contro 650.000) l'operato di Bonaparte e gli attribuì il compito di redigere una nuova costituzione. Promulgata nel gennaio successivo, la costituzione stabiliva in dieci anni la durata del mandato presidenziale; ripristinava il suffragio universale, ma toglieva alla Camera l'iniziativa legislativa (cioè il diritto di proporre leggi), riservandola al presidente; istituiva un Senato vitalizio, ovviamente di nomina presidenziale.
La Repubblica era ormai tale solo di nome. E la finzione fu abolita, nel dicembre 1852, da un nuovo plebiscito che approvava, con una maggioranza ancor più schiacciante di quella dell'anno precedente, la restaurazione dell'Impero. Luigi Napoleone assumeva così il nome di
Napoleone III (veniva dunque incluso nella serie anche il figlio di Napoleone I, morto in esilio) col diritto di trasmettere il titolo imperiale ai suoi eredi.
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