20.10 La crisi del sistema giolittiano
Se si prescinde dalle conseguenze del "patto Gentiloni", l'allargamento del suffragio - che quasi triplicava il corpo elettorale, portandolo da poco più di tre milioni a 8.672.000 unità - non ebbe effetti sconvolgenti sugli equilibri parlamentari. Nonostante i progressi dei socialisti e dei cattolici "dichiarati" e nonostante l'ingresso alla Camera di un piccolo gruppo nazionalista, i liberali delle varie gradazioni conservavano un'ampia maggioranza. Ma si trattava di una maggioranza più eterogenea e divisa che in passato: il che rendeva la mediazione giolittiana sempre più problematica.
Nel maggio 1914, Giolitti rassegnò le dimissioni, indicando al re come suo successore
Antonio Salandra, giurista, agrario pugliese e leader emergente della destra liberale. Come aveva già fatto in passato, Giolitti incoraggiò dunque un'esperienza di governo conservatore con la prospettiva di lasciarla logorare rapidamente e di tornare poi al potere a capo di un ministero orientato a sinistra. Ma la situazione era molto cambiata rispetto a quattro o cinque anni prima. La guerra di Libia - lo abbiamo visto - aveva fortemente radicalizzato i contrasti politici; e anche la situazione economica, a partire dal 1913, si era nuovamente deteriorata, provocando un inasprimento delle tensioni sociali. Il dibattito tendeva a polarizzarsi nello scontro fra una destra conservatrice, rafforzata dall'apporto di clerico-moderati e nazionalisti, e una sinistra in cui le correnti rivoluzionarie prendevano il sopravvento su quelle riformiste e gradualiste.
Un sintomo evidente del nuovo clima fu la cosiddetta settimana rossa del giugno 1914. La morte di tre dimostranti in uno scontro con la forza pubblica durante una manifestazione antimilitarista ad Ancona provocò un'ondata di scioperi e di agitazioni in tutto il paese. Nelle Marche e in Romagna la protesta, guidata dagli anarchici e dai repubblicani - ma appoggiata anche dai socialisti rivoluzionari, in particolare dall'"Avanti!" di Mussolini - assunse un carattere apertamente insurrezionale: vi furono assalti a edifici pubblici, atti di sabotaggio contro le linee telegrafiche e ferroviarie; alcuni ufficiali dell'esercito furono catturati dai rivoltosi e in molti piccoli centri furono proclamate effimere repubbliche. Priva di qualsiasi sbocco concreto, non appoggiata dalla Cgl e fronteggiata con decisione dal governo, l'agitazione si esaurì in pochi giorni. L'unico risultato fu quello di rafforzare le tendenze conservatrici in seno alla classe dirigente, spaventata dal ritorno di fiamma del sovversivismo vecchia maniera, e di accentuare le fratture all'interno del movimento operaio.
Gli echi della "settimana rossa" non si erano ancora spenti, quando lo scoppio del conflitto mondiale intervenne a distogliere l'opinione pubblica dai problemi interni e a determinare nuovi schieramenti fra le forze politiche italiane. La grande guerra avrebbe reso irreversibile la crisi del giolittismo e messo in luce la debolezza di una linea politica che aveva avuto il merito innegabile di favorire la democratizzazione della società, incoraggiando al tempo stesso lo sviluppo economico, ma che, tutta fondata sulla mediazione parlamentare, si rivelava inadeguata a fronteggiare le tensioni sprigionate dalla nascente società di massa.
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