6.3 Mazzini e la Giovine Italia
L'esito negativo delle insurrezioni nell'Italia centro-settentrionale segnò la crisi irreversibile della Carboneria; e, più in generale, mise in evidenza i vizi di fondo dell'impostazione strategica e organizzativa che aveva fin allora guidato il corso delle rivoluzioni italiane: la necessità di affidarsi all'appoggio di sovrani che poi si rivelavano regolarmente inaffidabili, se non traditori; la fiducia eccessiva riposta in interventi stranieri, che si traduceva in attendismo e in carenza di iniziativa autonoma; la segretezza delle trame settarie, che avvolgeva di mistero i reali obiettivi dei moti e ostacolava una più ampia partecipazione popolare; e soprattutto l'assenza di una direzione unitaria, capace di agire in una prospettiva autenticamente nazionale.
Progetti unitari e repubblicani erano stati affacciati negli ambienti dell'emigrazione italiana già nel decennio 1820-30. Lo stesso Filippo Buonarroti - cui facevano capo, direttamente o indirettamente, quasi tutti i gruppi clandestini operanti in quel periodo - era favorevole a una rivoluzione nazionale che coniugasse la rivendicazione indipendentista con un programma sociale avanzato. Ma solo all'inizio degli anni '30, l'ideale dell'unità italiana da conseguirsi attraverso un'autentica lotta di popolo - e non mediante cospirazioni settarie o accordi con i principi - si diffuse fra i patrioti di orientamento democratico e si tradusse in dottrina organica e in concreto programma d'azione, grazie soprattutto all'opera di
Giuseppe Mazzini.
Mazzini era nato a Genova nel 1805 da una famiglia della borghesia medio-alta. Si era accostato fin dagli anni giovanili alle idee democratiche e patriottiche, aveva svolto attività pubblicistica su alcuni periodici letterari di orientamento romantico e, nel 1827, aveva aderito alla Carboneria. Arrestato nel 1830 per la delazione di un informatore, e posto dalle autorità sabaude di fronte all'alternativa fra l'esilio e il confino in un piccolo centro del Piemonte, era emigrato a Marsiglia. Nell'esilio francese, Mazzini entrò in contatto con i maggiori esponenti dell'emigrazione democratica, in particolare con Buonarroti, che contribuì a rafforzare le sue convinzioni repubblicane e unitarie. Ma subì anche l'influenza di molte fra le voci più importanti della cultura politica dell'epoca: da Sismondi a Lamennais ai sansimoniani. Venne così prendendo corpo, fin dai primi anni '30, una concezione politica personalissima, in cui l'originaria ispirazione democratica si mescolava con una forte componente mistico-religiosa.
Quella di Mazzini era una religiosità laica e tipicamente romantica, dove Dio si identificava non con un essere trascendente, ma piuttosto - alla maniera dei filosofi idealisti - con lo spirito insito nella storia, e in ultima analisi con la stessa umanità. La fede nella libertà e nel progresso umano doveva dunque essere vissuta come una fede religiosa. La rivendicazione dei diritti degli individui e delle nazioni non poteva essere separata dalla consapevolezza dei doveri dell'uomo e dalla coscienza di una missione spettante ai popoli quali strumenti di un disegno divino (di qui la celebre formula mazziniana Dio e popolo). Critico severo dell'individualismo settecentesco, Mazzini aveva della società una visione organica e credeva fermamente nel principio di associazione. Al di sopra dell'individuo c'era la famiglia, al di sopra della famiglia la nazione, al di sopra di tutto l'umanità. Così come gli individui, anche le nazioni dovevano associarsi per cooperare al bene comune.
L'idea di nazione aveva nel pensiero di Mazzini un posto fondamentale. La nazione - intesa come entità culturale e spirituale, prima ancora che etnica e territoriale - era la cellula fondamentale attraverso cui si sarebbe realizzato il sogno di un'umanità libera e affratellata. Solo uniti in nazioni i popoli avrebbero potuto assolvere alla loro missione storica. All'Italia, in particolare, spettava il compito di impugnare la bandiera delle nazioni oppresse, di abbattere i pilastri principali del vecchio ordine (l'Impero asburgico e lo Stato pontificio) e di farsi iniziatrice di un generale moto di emancipazione. Se la Roma dei Cesari aveva unificato politicamente l'Europa, se la Roma dei papi l'aveva assoggettata a un'unica autorità religiosa, la terza Roma sarebbe stata il centro di una nuova e più alta unità morale e sociale di tutti i popoli della terra.
In una concezione come questa, tutta imperniata sui valori ideali e sulla tensione verso l'unità (nazionale e universale) non c'era posto per le teorie materialistiche o "economicistiche" e per le tematiche legate alla lotta di classe. Mazzini non ignorava i problemi sociali ed era favorevole a riforme anche audaci (divisione delle terre incolte, nazionalizzazione delle miniere e delle ferrovie, sviluppo della cooperazione). Ma difendeva il diritto di proprietà come base dell'ordine sociale e soprattutto considerava pericolosa qualsiasi teoria che tendesse a dividere la collettività nazionale e a rompere l'unità spirituale del popolo. Anche la questione sociale si sarebbe dovuta risolvere attraverso il principio di associazione (e infatti, in un periodo successivo, Mazzini si sarebbe impegnato per promuovere cooperative e società di mutuo soccorso fra gli operai).
Se le formulazioni ideologiche di Mazzini potevano apparire poco concrete e a tratti persino confuse (ma non bisogna dimenticare il fascino che esse esercitarono sulla gioventù romantica, proprio in virtù del loro carattere mistico e spiritualistico), il suo programma politico era invece di un'estrema chiarezza. L'Italia doveva rendersi indipendente e darsi una forma di governo unitaria e repubblicana. Erede, almeno in questo, della tradizione giacobina, Mazzini non ammetteva alcun compromesso con il principio monarchico e rifiutava ogni soluzione di tipo federalistico (pur prevedendo ampie autonomie per i comuni). La via per giungere all'unità e all'indipendenza era solo una: l'insurrezione di popolo, di tutto il popolo senza distinzioni di classe. Lo strumento per realizzare l'insurrezione di popolo era una organizzazione di tipo nuovo che, anziché nascondere agli affiliati i suoi scopi ultimi, li rendesse subito palesi e propagandasse apertamente i suoi princìpi fondamentali, svolgendo così, accanto all'azione cospirativa, un'opera di continua educazione politica.
La nuova organizzazione nacque in Francia, nell'estate del '31, quando Mazzini era esiliato solo da pochi mesi e non aveva rotto completamente i contatti con i gruppi carbonari e buonarrotiani. L'associazione si chiamò "Giovine Italia", adottò come vessillo la bandiera tricolore, simbolo dell'unità italiana, e riunì attorno a Mazzini numerosi emigrati dell'ultima generazione (come i modenesi Fabrizi e Melegari) e molti giovani democratici che ancora operavano in Italia (fra gli altri, i genovesi fratelli Ruffini e i toscani Bini e Guerrazzi). Nella Istruzione generale per gli affratellati della Giovine Italia, redatta da Mazzini nel luglio del '31, venivano esposti con chiarezza i princìpi informatori (libertà, uguaglianza, umanità) e gli obiettivi politici dell'associazione (unità nazionale, indipendenza, repubblica). Altrettanto chiara era la rottura coi vecchi sistemi settari (chiunque intenda "chiamare il popolo alle armi deve potergli dire il perché"). E netta era la scelta in favore di un'iniziativa insurrezionale che doveva coinvolgere il popolo e fondarsi essenzialmente, se non esclusivamente, su forze italiane.
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