16.12 Sommario
L'avvento al potere della Sinistra (1876) segnò l'inizio di una nuova fase nella politica italiana: si allontanava il periodo delle lotte risorgimentali e si allargavano in qualche misura le basi dello Stato. Tuttavia - approvate la legge Coppino sull'istruzione e la riforma elettorale dell'82 - gran parte del programma riformatore della Sinistra fu accantonato. Il sistema politico italiano perse, col "trasformismo" di Depretis, il suo carattere bipartitico, finendo con l'essere dominato da un grande centro che emarginava le ali estreme.
Dati i ritardi nello sviluppo industriale, la classe operaia italiana era costituita solo per una minoranza da proletariato di fabbrica. Le società di mutuo soccorso, inizialmente dominate da mazziniani e moderati, perdettero via via terreno, soprattutto dopo la Comune parigina, a favore del movimento internazionalista che in Italia ebbe essenzialmente indirizzo anarchico.
Il fallimento dei tentativi insurrezionali anarchici spinse Andrea Costa ad una svolta politica (1879) che favorì la nascita del Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Crebbero, a partire dagli anni '70, i conflitti di lavoro e le organizzazioni operaie; nel 1882 nasceva il Partito operaio italiano, con una linea rigidamente classista e corporativa.
Benché il non expedit (1874) vietasse la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche (ma non alle amministrative), la presenza cattolica nella società italiana, soprattutto nelle campagne, era massiccia. L'Opera dei congressi sorse per organizzare tale presenza, secondo una linea di rigida opposizione al liberalismo e al socialismo. L'elezione di papa Leone XIII (1878), più aperto ai problemi della società moderna, favorì l'impegno sociale dei cattolici e lo sviluppo delle loro organizzazioni.
La Sinistra abolì la tassa sul macinato e aumentò la spesa pubblica. Se si escludono le zone più sviluppate del Nord, l'agricoltura italiana - come allora documentò l'Inchiesta Jacini - versava in condizioni assai arretrate. Situazione ulteriormente aggravata dalle ripercussioni della crisi agraria, tra i cui effetti vi fu un rapido incremento dell'emigrazione.
La crisi agraria finì col favorire indirettamente il "decollo" industriale italiano, dimostrando quanto fosse illusoria l'idea che lo sviluppo economico del paese potesse basarsi solo sull'agricoltura. Si affermò così una linea di appoggio dello Stato all'industria che si manifestò anzitutto nell'adozione di tariffe protezionistiche (1878 e, soprattutto, 1887). Il protezionismo era una strada obbligata per l'industrializzazione del paese. Restava, e anzi si aggravava, lo squilibrio economico fra Nord e Sud.
La stipulazione della Triplice alleanza (1882) segnò nella politica estera italiana una svolta, determinata dal timore di un isolamento internazionale e dal trauma rappresentato dall'occupazione francese della Tunisia. Il trattato dava scarsi vantaggi all'Italia rispetto a Germania ed Austria-Ungheria e costringeva a rinunziare implicitamente alla rivendicazione di Trentino e Venezia Giulia, tenuta viva dal movimento irredentista. Fu avviata in quegli anni un'espansione coloniale sulle coste del Mar Rosso. Il tentativo di estendersi verso l'interno portò al contrasto con l'Etiopia e all'eccidio di Dogali (1887).
Alla morte di Depretis (1887) divenne presidente del Consiglio Crispi: la sua politica autoritaria e repressiva si accompagnò a una importante riorganizzazione dell'apparato statale. La sua politica estera portò alla "guerra doganale" con la Francia e a un maggior impegno in Africa orientale. Nettamente diversa la politica di Giolitti, a capo del governo nel '92-'93, imperniata su una più equa pressione fiscale e su una linea non repressiva nei confronti dei conflitti sociali. Il rifiuto di Giolitti di adottare misure eccezionali contro i Fasci siciliani e lo scandalo della Banca romana provocarono le sue dimissioni.
Questi anni videro una notevole crescita del movimento operaio, con la fondazione di federazioni di mestiere e Camere del lavoro, leghe bracciantili e cooperative agricole. Nel 1892 fu fondato il Partito dei lavoratori italiani (poi Partito socialista).
Gli atti di maggior rilievo del nuovo governo Crispi (1893) furono: la riforma bancaria (nascita della Banca d'Italia), la proclamazione dello stato d'assedio in Sicilia e Lunigiana, le leggi antisocialiste, l'ulteriore spinta all'azione coloniale che portò alla guerra con l'Etiopia. La sconfitta di Adua (1896) causò la fine politica di Crispi.
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