17.13 La crisi del positivismo
Il periodo compreso fra la fine dell'800 e la prima guerra mondiale coincise, nella cultura occidentale, con un'età di decisivi cambiamenti. Fra il 1850 e il 1890, il panorama culturale europeo era stato dominato dal positivismo, che aveva fornito un solido quadro di riferimento in ogni campo del sapere umano. A partire dalla fine dell'800, il modello interpretativo offerto dal positivismo apparve sempre più inadeguato non solo a spiegare i fenomeni politici, economici e sociali, ma anche a tener dietro all'evoluzione delle scienze. Il positivismo restò per molti un metodo di ricerca e di conoscenza della realtà, ma non fu più accettato come una visione del mondo, legata all'idea di un progresso necessario e costante.
Sul piano filosofico si assisté alla nascita di nuove correnti irrazionalistiche e vitalistiche, diverse fra loro ma tutte convergenti nel ricondurre i meccanismi della conoscenza e dell'attività umana a fattori come l'istinto, la volontà o lo "slancio vitale", e nel considerare oggetto principale della propria indagine la realtà psicologica: una realtà anch'essa "oggettiva" (e dunque conoscibile), ma dotata di sue proprie leggi e di un suo tempo (quello della memoria, del vissuto) diverso da quello fisico-quantitativo delle scienze esatte.
Primo e principale interprete della critica al positivismo fu il filosofo e letterato tedesco Friedrich Nietzsche. Alla concezione lineare del tempo, Nietzsche oppose quella ciclica dell'"eterno ritorno"; all'ottimismo progressivo delle filosofie borghesi - considerato come il risultato ultimo e negativo dell'intera tradizione ebraico-cristiana giunta ormai alla sua estrema decadenza - contrappose l'idea dell'uomo nuovo (il "superuomo"), nato dalle ceneri della vecchia civiltà e capace di esprimere e realizzare la propria individualità al di fuori della morale corrente. Le teorie nietzschiane conobbero una larghissima popolarità alla fine del secolo (ad esse si sarebbero poi richiamati, più o meno arbitrariamente, i movimenti nazionalisti e totalitari), ma costituirono un fenomeno relativamente isolato nella cultura tedesca di fine '800. In Germania, infatti, la reazione al positivismo si espresse piuttosto in una ripresa della filosofia kantiana e idealistica, in una più approfondita riflessione sui problemi della conoscenza storica, in un ritorno alla distinzione fra "scienze dello spirito" e "scienze della natura". In questo clima culturale operarono filosofi come Wilhelm Dilthey, considerato il fondatore dello storicismo moderno, storici come Friedrich Meinecke, sociologi come Werner Sombart e Max Weber, sul quale avremo occasione di ritornare fra poco.
Anche in Italia, a partire dall'inizio del '900, vi fu una rinascita idealistica, che ebbe per protagonisti Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Filosofo, storico e uomo di lettere, protagonista di oltre mezzo secolo di storia della cultura italiana, Croce partì da una critica al materialismo marxista - cui aveva aderito in gioventù sotto l'influenza di Antonio Labriola - e giunse a elaborare un complesso sistema filosofico che tendeva a risolvere tutta la realtà nella storia. Gentile portò la filosofia idealistica alle sue estreme conseguenze riducendo tutta la realtà all'"atto" pensante del soggetto (attualismo).
In Francia la reazione al positivismo trovò la sua espressione più organica nella filosofia di Henri Bergson, che concepiva la realtà come creazione continua, mossa da uno "slancio vitale" e conoscibile nella sua pienezza solo attraverso l'intuizione, e contrapponeva alla concezione del tempo "spazializzato" (quello dell'orologio o della clessidra) l'idea di un tempo "vissuto" internamente nella coscienza.
Nei paesi anglosassoni, e soprattutto negli Stati Uniti, la corrente di pensiero dominante fu quella conosciuta col nome di pragmatismo, che si diffuse largamente anche in Europa nei primi anni del '900 ed ebbe i suoi rappresentanti più noti in William James e in John Dewey. Il pragmatismo considerava determinante il rapporto di reciproca verifica fra teoria e pratica e fra individuo e natura, e rivalutava così, inserendole nel campo filosofico, scienze "pratiche" come la psicologia e la pedagogia.
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