8.9 Marx e "Il Capitale"
Pubblicando, all'inizio del '48, il Manifesto dei comunisti,
Marx ed
Engels non solo avevano gettato le basi per una nuova concezione del socialismo, ma avevano anche indicato al proletariato europeo un programma rivoluzionario da attuarsi a breve scadenza. Il fallimento dei moti del '48 e la lunga stasi delle lotte sociali che ne seguì costrinsero Marx, in esilio a Londra, a ripensare modi e tempi del processo rivoluzionario. Lontano per molti anni da ogni possibilità di azione, Marx dedicò gran parte del suo tempo allo studio dell'economia politica: l'analisi economica divenne sempre più la base fondamentale del suo "socialismo scientifico". Primo frutto di questa fase del pensiero marxiano fu, nel 1859, il volume Per la critica dell'economia politica, quasi un'anticipazione dell'opera maggiore, Il Capitale, il cui primo e più importante volume uscì nel 1867 (gli altri due, mai completati, uscirono a cura di Engels dopo la morte di Marx).
Opera vasta e complessa come poche altre, Il Capitale è innanzitutto una minuziosa descrizione delle leggi e dei meccanismi su cui si fonda il modo di produzione capitalistico. Ma al tempo stesso contiene anche una storia del capitalismo, una previsione circa i suoi futuri sviluppi e un'indicazione dei compiti che, in vista di tali sviluppi, spettano al nuovo soggetto rivoluzionario: il proletariato industriale.
Fondamento principale della costruzione di Marx è la teoria del valore-lavoro: la teoria cioè per cui il valore di scambio di una merce è dato dalla quantità di lavoro mediamente impiegato per produrla. Il lavoro stesso è una merce e come tale viene comprato e venduto sulla base del valore-lavoro che esso contiene (ossia dei costi relativi alla formazione e al sostentamento dell'operaio). Ma la caratteristica della merce-lavoro è di produrre un valore superiore ai propri costi di produzione, di rendere più di quanto non costi. La differenza fra il valore del lavoro e il valore del prodotto - differenza di cui il capitalista si appropria - è detta da Marx plusvalore. L'imprenditore che, assumendo salariati, acquista sul mercato il lavoro (la forza-lavoro, secondo la terminologia di Marx) e vende il prodotto di questo lavoro, realizza così un profitto. Da esso si forma il capitale, che si accumula e cresce su se stesso mediante l'impiego di nuova forza-lavoro.
Nel formulare la sua teoria del valore-lavoro, Marx si basa in larga parte sulle elaborazioni degli economisti "classici", ma capovolge il senso delle loro analisi e ne ribalta le conclusioni. Smith e Ricardo consideravano il modo di produzione capitalistico come un dato naturale e scontato. Per Marx il capitalismo rappresenta solo una fase ben definita nello sviluppo storico dei rapporti di produzione. Una fase iniziata alle soglie dell'età moderna e destinata a concludersi in un tempo non precisato (ma non troppo lontano), quando il sistema avrà espresso appieno le sue potenzialità e sarà distrutto dalle sue stesse contraddizioni.
Man mano che si sviluppa, il capitalismo produce infatti, secondo Marx, i germi della sua dissoluzione. La concentrazione del capitale in poche mani si accompagna alla formazione di una massa proletaria sempre più numerosa e sempre più misera; alla tendenza espansiva insita nello sviluppo capitalistico (più macchine, più investimenti, maggiore produzione) fa riscontro l'incapacità del sistema di allargare in proporzione l'area di assorbimento dei suoi prodotti (di qui le periodiche crisi di sovrapproduzione, o "crisi cicliche"); alle forme sempre più organizzate della produzione industriale si contrappone il carattere "anarchico" della concorrenza. Sono le stesse leggi della produzione capitalistica a determinare la crisi finale del sistema, attraverso la centralizzazione dei capitali.
Ogni capitalista - scrive Marx nel Capitale - ne ammazza molti altri. [...] Con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale [...] cresce la massa della miseria, della pressione, dell'asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia che sempre più si ingrossa ed è disciplinata, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistico. [...] La centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico. Ed esso viene spezzato. Suona l'ultima ora della proprietà privata capitalistica. Gli espropriatori vengono espropriati.
La pubblicazione del Capitale segnò una data fondamentale nella storia del movimento operaio e della cultura occidentale. Per la prima volta il socialismo non era presentato come il sogno di un mondo migliore, la cui realizzazione era legata alla riuscita di questo o quel movimento insurrezionale, ma veniva fatto scaturire dalle leggi stesse dello sviluppo economico, oltre che dall'azione consapevole del proletariato organizzato. L'utopia diventava necessità, la profezia acquistava il fascino della previsione scientifica. Per i militanti socialisti, per i lavoratori impegnati nelle lotte sociali, Marx non era soltanto il teorico del materialismo storico, colui che aveva individuato nel proletariato di fabbrica il protagonista del processo rivoluzionario. Era anche il grande economista che aveva analizzato fino in fondo i meccanismi dell'economia capitalistica e ne aveva svelato le contraddizioni, era lo studioso che aveva detto una parola nuova e definitiva nel campo delle scienze sociali, allo stesso modo in cui Darwin aveva rivoluzionato il settore delle scienze naturali. Di tutto il complesso insegnamento marxiano, fu questo l'aspetto che più profondamente penetrò nella cultura del movimento operaio (anche perché era quello che meglio si accordava con la mentalità positivistica allora dominante) e che permise al marxismo di affermarsi gradualmente sulle altre teorie socialiste: fino a diventare, alla fine del secolo, la dottrina "ufficiale" del movimento operaio e a rimanere tale per molto tempo, anche quando molte delle sue indicazioni (come quella sull'immiserimento progressivo del proletariato o sull'incapacità del capitalismo di controllare i processi di sviluppo) apparvero inadeguate alle trasformazioni intervenute nella realtà economica e sociale.
La penetrazione delle dottrine di Marx nel movimento operaio europeo non fu però immediata né incontrastata. Negli anni successivi all'uscita del Capitale non furono in molti a conoscerne direttamente il testo e ad assimilarne completamente le tesi. Fuori della Germania, il libro fu noto per molto tempo solo attraverso traduzioni parziali e compendi non sempre fedeli. Anche in seguito, la crescente fortuna di Marx e delle sue teorie non sempre fu accompagnata dalla conoscenza diretta dei suoi testi. Sul piano politico, poi, l'affermazione del socialismo marxista fu il risultato di un lungo e aspro scontro di tendenze che ebbe per teatro principale la prima organizzazione internazionale fra i lavoratori.
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