26.10 La guerra di Spagna
Fra il 1936 e il 1939, mentre in Francia si consumava l'esperienza del Fronte popolare, la Spagna fu sconvolta da una drammatica e sanguinosa guerra civile: un conflitto che si caricò di accesi antagonismi ideologici, trasformandosi in uno scontro fra democrazia e fascismo, fra rivoluzione sociale e reazione conservatrice. Scoppiata in un momento di forti tensioni internazionali, la guerra civile spagnola contribuì a sua volta ad aggravarle. Ma le sue origini furono essenzialmente nazionali e vanno ricondotte ai contrasti che avevano lacerato il paese nella prima metà degli anni '30.
Dopo la fine della dittatura di Primo de Rivera e la caduta della monarchia (
24.12), la Spagna aveva attraversato un periodo di grave instabilità economica e sociale, che aveva visto succedersi un fallito colpo di Stato militare (estate '32) e una insurrezione anarchica sanguinosamente repressa (autunno '34). Alle tensioni che percorrevano l'intera Europa negli anni della grande depressione si sommavano quelle specifiche di un paese arretrato e prevalentemente agricolo qual era allora la Spagna: dove qualsiasi tentativo riformatore si scontrava da un lato contro l'ottusità di un ceto dominante reazionario, dall'altro contro le tendenze sovversive e antistatali di un proletariato fortemente influenzato dalle ideologie anarco-sindacaliste. La Spagna era l'unico paese al mondo in cui la maggior centrale sindacale (la Cnt) fosse ancora controllata dagli anarchici. Ma era anche uno degli Stati in cui più si faceva sentire il peso dell'aristocrazia terriera, che possedeva oltre il 40% delle terre coltivate ed era strettamente legata alla Chiesa.
Quando, nel febbraio 1936, le sinistre unite in una coalizione di Fronte popolare (che vedeva per la prima volta i comunisti schierati assieme a repubblicani e socialisti) si affermarono nelle elezioni politiche e si insediarono al governo, la tensione esplose in tutto il paese. Le masse proletarie vissero la vittoria come l'inizio di una rivoluzione sociale: un'autentica esplosione di collera popolare si rivolse contro i grandi proprietari, i notabili conservatori e soprattutto contro il clero cattolico. La reazione della vecchia classe dominante si espresse prima nella violenza squadristica, affidata ai gruppi fascisti della Falange (un'organizzazione che fin allora non aveva goduto di grande seguito); quindi in un nuovo pronunciamiento (ribellione, colpo di Stato) messo in atto dai militari.
Iniziata nel luglio del '36, la ribellione ebbe il suo punto di forza nelle truppe coloniali di stanza nel Marocco spagnolo e fu organizzata da una giunta di cinque generali: fra essi il poco più che quarantenne
Francisco Franco, assurto al ruolo di capo degli insorti. I ribelli assunsero inizialmente il controllo di gran parte della Spagna occidentale; le prime fasi dello scontro parvero però favorevoli al governo repubblicano che, appoggiato da una parte delle stesse forze armate e sostenuto da un'intensa mobilitazione popolare (si organizzarono corpi volontari e si distribuirono armi alla popolazione), poté mantenere il controllo della capitale e delle regioni del Nord-est, le più ricche e industrializzate.
Ciò che fece pendere la bilancia a favore dei nazionalisti di Franco fu il comportamento delle potenze europee. Italia e Germania aiutarono massicciamente gli insorti franchisti. Mussolini inviò in Spagna un contingente di 50.000 "volontari" (ma si trattava in realtà di reparti regolari) oltre a notevoli quantità di materiale bellico. Meno rilevante quantitativamente, ma ugualmente prezioso, fu l'aiuto della Germania nazista, che inviò soprattutto aerei e piloti e si servì della guerra per sperimentare l'efficienza della sua aviazione. Nessun aiuto venne invece alla Repubblica da parte delle potenze democratiche. I governi conservatori inglesi si attennero a una rigida neutralità che mal nascondeva una certa simpatia per i nazionalisti. Frenato dagli alleati inglesi, ma anche da ampi settori della sua stessa maggioranza, e preoccupato dal rischio di uno scontro aperto con gli Stati fascisti, il governo francese di Fronte popolare si astenne da ogni aiuto palese ai repubblicani e si illuse di bloccare gli aiuti al campo opposto promuovendo un accordo generale fra le grandi potenze per il non intervento nella crisi spagnola. Sottoscritto, nell'agosto del '36, anche da Italia e Germania, l'accordo fu però rispettato solo da Francia e Gran Bretagna.
L'unico Stato a portare un aiuto efficace alla Repubblica fu l'Urss, che non solo rifornì il governo spagnolo di materiale bellico, ma favorì, attraverso il Comintern, la formazione di Brigate internazionali: reparti volontari composti in buona parte da comunisti ma aperti ad antifascisti di tutte le tendenze e di tutti i paesi (fra questi non pochi intellettuali di prestigio, come l'americano Hemingway, il francese Malraux, l'inglese Orwell). Numerosi furono gli italiani e i tedeschi, che trovarono nella guerra l'occasione per combattere in campo aperto quella battaglia che non potevano affrontare in patria. "Oggi in Spagna, domani in Italia" fu lo slogan lanciato da Carlo Rosselli a nome dell'emigrazione antifascista italiana, presente nelle Brigate internazionali con molti suoi dirigenti. L'intervento dei volontari antifascisti - che fece rivivere la tradizione garibaldina delle rivoluzioni ottocentesche - ebbe un significato morale e politico largamente superiore a quello militare, che pure non fu trascurabile (lo si vide nella battaglia di Guadalajara del marzo '37, quando gli italiani della Brigata Garibaldi inflissero una dura sconfitta ai loro connazionali inquadrati nei reparti fascisti). Ma non bastava a controbilanciare gli appoggi internazionali di cui godevano i franchisti.
Inferiori agli avversari sul piano militare, i repubblicani erano anche indeboliti politicamente dalle loro divisioni interne. Mentre Franco, insignito del titolo di caudillo (duce, condottiero), si guadagnava l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche, dell'aristocrazia terriera e di buona parte della borghesia moderata e realizzava l'unità di tutte le destre in un partito unico chiamato Falange nazionalista (ma con i veri falangisti ridotti in posizione subalterna), il Fronte popolare vedeva allontanarsi quei settori della borghesia progressista che, favorevoli in un primo tempo alla Repubblica, erano ora spaventati dagli eccessi di violenza cui si abbandonavano soprattutto gli anarchici. Mentre i nazionalisti mettevano in piedi nei loro territori uno Stato dai chiari connotati autoritari, i repubblicani si scontravano fra loro sull'organizzazione presente e futura della società e sul modo stesso di combattere la guerra. Particolarmente grave era il contrasto che divideva gli anarchici - insofferenti di qualsiasi disciplina militare e di ogni compromesso politico - dagli altri partiti della coalizione: a cominciare dai comunisti, favorevoli - in omaggio alla strategia dei fronti popolari - a una linea relativamente moderata, tale da non rompere l'unità con le forze democratico-borghesi. Il contrasto assunse toni drammatici soprattutto nella primavera del '37, quando, a Barcellona, gli anarchici si scontrarono armi in pugno con i comunisti e l'esercito regolare repubblicano. I comunisti che, grazie al legame con l'Urss, godevano di un'influenza sproporzionata alla loro modesta consistenza numerica, adottarono nei confronti degli anarchici metodi simili a quelli in uso nella Russia di Stalin: numerosi militanti anarchici scomparvero fra il '37 e il '38 e un intero partito, il Poum, nato dalla confluenza fra trotzkisti e anarco-sindacalisti, fu liquidato anche con l'intervento di agenti sovietici.
Le divisioni nel fronte repubblicano contribuirono a far svanire quel clima di entusiasmo popolare che aveva caratterizzato le prime fasi della resistenza antifranchista e facilitarono l'offensiva delle forze nazionaliste: un'offensiva lenta ma sistematica e spietata, volta a eliminare non solo ogni sacca di resistenza militare, ma anche ogni possibile centro di dissidenza politica. La sorte della guerra fu segnata nella primavera del '38, quando i franchisti riuscirono a spezzare in due il territorio controllato dai repubblicani separando Madrid dalla Catalogna. Abbandonata da tutti (anche il Comintern decise in autunno il ritiro delle Brigate internazionali), la Repubblica spagnola resistette ancora per quasi un anno. All'inizio del '39, i nazionalisti sferrarono l'offensiva finale che si concluse, in marzo, con la caduta di Madrid.
Tre anni di guerra civile lasciarono nel paese una pesante eredità di lutti e distruzioni: circa 500.000 morti (ai quali vanno aggiunte le decine di migliaia di vittime di una feroce repressione protrattasi per molti anni dopo il '39), quasi 300.000 emigrati politici, un dissesto economico di proporzioni incalcolabili. Terminata pochi mesi prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, la guerra civile spagnola ne rappresentò per molti aspetti un sinistro preludio: non solo perché ne prefigurò, almeno in parte, gli schieramenti (Urss e democrazie contro gli Stati fascisti) e ne anticipò il carattere di "guerra ideologica", ma anche perché in Spagna furono adottati per la prima volta metodi e tecniche di guerra (i bombardamenti dei centri abitati, le rappresaglie, i rastrellamenti) che l'Europa e il mondo avrebbero presto sperimentato su ben più ampia scala.
Torna all'indice