19.3 La Repubblica in Cina
La vittoria del Giappone sulla Russia ebbe fra gli altri effetti quello di dare un poderoso impulso alle lotte nazionali e anticoloniali dei popoli asiatici. Movimenti indipendentisti si svilupparono, in questo periodo, nell'Indocina francese, nell'Indonesia olandese e nelle Filippine, da poco passate sotto il controllo degli Stati Uniti. Nell'India britannica, il Congresso nazionale indiano - un'organizzazione nata nel 1885 e formata per lo più da notabili e professionisti che chiedevano una maggior partecipazione dell'elemento indigeno alla vita della colonia - vide prevalere al suo interno un'ala nazionalista e radicale.
Ma fu soprattutto la Cina a subire in maniera determinante l'influsso del vicino Giappone, visto a un tempo come minaccia all'indipendenza nazionale e come modello da imitare sul piano dello sviluppo economico e dell'emancipazione politica. Ormai screditata la dinastia Manciù - dimostratasi incapace di promuovere un processo di riscossa nazionale simile a quello realizzato in Giappone con la "restaurazione Meiji" -, fallito disastrosamente con la rivolta dei boxers il tentativo di condurre la lotta per l'indipendenza all'insegna del tradizionalismo reazionario, la strada era aperta per l'affermazione di un movimento di ispirazione democratica e occidentalizzante, in alternativa al potere imperiale.
Nel 1905 un medico di Canton,
Sun Yat-sen, che aveva soggiornato a lungo in Europa e in Giappone, fondò un'organizzazione segreta, il Tung meng hui (Lega di alleanza giurata) con un programma basato sui tre princìpi del popolo: l'indipendenza nazionale, la democrazia rappresentativa, il benessere del popolo, vale a dire l'essenza della tradizione democratica occidentale. La lega di Sun Yat-sen fece proseliti soprattutto fra gli intellettuali, fra gli ufficiali dell'esercito e fra i nuclei di proletariato industriale che si erano venuti formando in alcune grandi città, in particolare a Shangai. Al movimento andarono anche le simpatie di una parte della ancora esigua borghesia imprenditoriale, quella meno legata agli interessi commerciali delle potenze straniere.
Invano la corte imperiale cercò di mettere in atto un limitato e tardivo programma di modernizzazione. Nell'ottobre del 1911 la decisione del governo di affidare a imprese straniere il controllo della rete ferroviaria cinese provocò una serie di sommosse nelle province centro-meridionali e l'ammutinamento di alcuni reparti dell'esercito. Nel gennaio del 1912 un'assemblea rivoluzionaria dichiarava decaduta la dinastia Manciù ed eleggeva Sun Yat-sen alla presidenza della Repubblica. In aprile il generale Yuan Shi-kai, inviato dal governo di Pechino a domare la rivolta, si schierò dalla parte dei repubblicani e ottenne in cambio di essere nominato presidente in luogo di Sun Yat-sen.
Il più antico impero del mondo (aveva alle spalle circa tremila anni di storia) crollava così ingloriosamente. Ma la nuova Repubblica era destinata a una vita quanto mai travagliata. Il fragile compromesso tra le forze democratiche organizzate nel nuovo "Partito nazionale" (
Kuomintang) e i gruppi conservatori che facevano capo a Yuan Shi-kai, ostili a ogni riforma che minacciasse i tradizionali equilibri sociali nelle campagne, si ruppe nel giro di pochi mesi. Nel 1913 il nuovo presidente sciolse il Parlamento appena eletto, mise fuori legge il Kuomintang, costrinse Sun Yat-sen all'esilio e instaurò una dittatura personale appoggiata dalle potenze straniere (i cui privilegi rimasero naturalmente intatti). Cominciava per la Cina una lunga stagione di guerre civili che si sarebbe conclusa solo nel 1949 con la vittoria della rivoluzione comunista.
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