31. La decolonizzazione e il Terzo Mondo
31.1 I caratteri generali della decolonizzazione
Lo smantellamento del sistema coloniale e l'accesso all'indipendenza dei popoli afroasiatici sono fra i fenomeni più importanti di questo secolo: forse i più importanti sotto il profilo dei rapporti internazionali e della trasformazione della comunità mondiale nel suo insieme. Preparato già nel primo dopoguerra con lo sviluppo di movimenti indipendentisti, il processo di decolonizzazione ricevette la spinta decisiva dal secondo conflitto mondiale. Nei teatri di guerra extraeuropei, i movimenti indipendentisti, appoggiati dall'uno o dall'altro dei belligeranti, avevano acquistato forza e prestigio sempre maggiori. In Asia essi erano stati sostenuti dai giapponesi in funzione antifrancese e antinglese, ma in molti casi erano passati ben presto alla guerriglia contro l'occupazione nipponica. Quasi dappertutto, a guerra finita, queste forze rimasero mobilitate politicamente e militarmente per battersi contro il dominio coloniale.
Un altro fattore di importanza decisiva fu la pressione congiunta degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica per scalzare gli europei dall'Asia e dall'Africa e quindi per accelerare la liquidazione del vecchio ordine mondiale fondato sull'eurocentrismo. Le due superpotenze avrebbero in seguito fatto pesare la loro egemonia sui paesi afroasiatici, anche se in forme molto diverse (essenzialmente economiche gli americani, soprattutto politico-militari i sovietici). Ma ciò non toglie che il loro ruolo fu decisivo nell'avviare il processo di decolonizzazione.
Per volontà soprattutto americana, gli alleati avevano proclamato, ancora in piena guerra mondiale, con la Carta atlantica del 1941 (
29.8), il "diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo da cui intendono essere retti". Il principio di autodeterminazione dei popoli, che avrebbe ispirato l'intera attività dell'Onu, si impose così come base di un nuovo codice etico-politico internazionale, a cui l'Europa non poteva sottrarsi, tanto più che era uscita indebolita e ridimensionata dalla guerra. Del resto i benefici economici del colonialismo compensavano sempre meno i costi politici, militari e finanziari del mantenimento delle colonie, di fronte alla crescente pressione dei movimenti indipendentisti.
Se la linea di tendenza era già chiaramente fissata alla fine della guerra, non mancarono tuttavia incertezze e resistenze nella fase di attuazione. Il processo si compì attraverso vicende alterne, che risentirono sia della natura dei nazionalismi locali, sia della consistenza numerica della colonizzazione bianca, sia delle politiche dei paesi europei. La Gran Bretagna, come già si è visto (
28.3), procedette a una graduale abdicazione al proprio dominio, preparando i popoli soggetti all'indipendenza (mediante la concessione di costituzioni e di organismi rappresentativi) e cercando di trasformare l'Impero in una comunità di nazioni sovrane, liberamente associate nel Commonwealth. La Francia, invece, oppose una tenace resistenza ai movimenti indipendentisti e praticò fino all'ultimo una politica "assimilatrice", che pretendeva di riunire la madrepatria e le colonie in un unico Stato e concedeva ai popoli soggetti una formale parità di diritti. Sia nel caso dei domini francesi sia in quello dei possedimenti britannici, olandesi, belgi e portoghesi, lo sbocco obbligato fu l'indipendenza. Dove furono mantenuti legami, ciò avvenne per scelta volontaria.
Il rapporto con l'Europa, che nel bene e nel male era stato per i popoli afroasiatici un fattore decisivo di modernizzazione, è rimasto comunque importante. Nonostante la fortuna di alcune ideologie autoctone e tradizionaliste (come, ad esempio, l'integralismo islamico) e nonostante la polemica ricorrente nei paesi "decolonizzati" contro alcuni aspetti della cultura occidentale, l'eredità coloniale ha lasciato tracce durevoli non solo sul piano materiale, ma anche su quello delle abitudini, della cultura, della lingua (si pensi al caso dell'India, dove l'inglese ha continuato a svolgere la funzione di lingua nazionale). Sul piano delle istituzioni politiche, però, la democrazia parlamentare di tipo europeo ha attecchito solo in pochi paesi. Le ragioni sono molteplici: il peso di una tradizione diversa; il fatto che l'Europa ha mostrato in Africa e in Asia non il suo volto liberale, ma quello autoritario del governo coloniale; il carattere delle dirigenze locali, espressione di élites numericamente esigue (spesso cresciute nelle file delle forze armate) e non di borghesie mature, radicate nella società; la difficoltà di avviare un processo di sviluppo partendo da condizioni di grave arretratezza economica. Tutto ciò ha fatto sì che, in genere, l'accento sia stato posto sulla coesione nazionale più che sulle libertà individuali. Il risultato è stato quindi la prevalenza di regimi di stampo autoritario, di sistemi a partito unico tanto di destra quanto di sinistra, di vere e proprie dittature militari.
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