22.9 Da Lenin a Stalin: il socialismo in un solo paese
Nell'aprile del 1922 l'ex commissario alle Nazionalità Josip Djugasvili, detto
Stalin, fu nominato segretario generale del Partito comunista dell'Urss. Poche settimane dopo, Lenin fu colpito dal primo attacco di quella malattia che ne avrebbe fortemente limitato le capacità di lavoro e lo avrebbe condotto alla morte nel gennaio 1924.
Finché era rimasto sulla breccia, Lenin aveva controllato saldamente il partito e aveva impedito, con la sua indiscussa autorità, che i contrasti nel gruppo dirigente degenerassero in veri e propri scontri. Con la malattia di Lenin e la quasi contemporanea ascesa di Stalin alla segreteria le cose cambiarono rapidamente. I dissensi interni si fecero più aspri e si intrecciarono con una sempre più scoperta lotta per la successione.
Il primo grave scontro all'interno del gruppo dirigente ebbe per oggetto il problema della centralizzazione e della burocratizzazione del partito e degli enormi poteri che, in conseguenza di questo processo, si andavano accumulando nelle mani del segretario generale Stalin. Protagonista sfortunato della battaglia volta a limitare le prerogative dell'apparato e a ridare spazio ai princìpi della democrazia "sovietica" nella conduzione del partito e dello Stato fu Lev Trotzkij. Per le sue indubbie doti personali e per il ruolo di primo piano svolto nelle fasi della presa del potere e della guerra civile, Trotzkij era il più autorevole e il più popolare dopo Lenin fra i capi bolscevichi. Ma era anche, forse proprio per questo, isolato rispetto agli altri leader di primo piano (Zinov'ev, Kamenev, Bucharin), che respinsero le sue critiche alla gestione del partito e fecero blocco col segretario generale: il quale poté così rafforzare la sua posizione, nonostante non avesse, all'inizio, un grande prestigio personale e non godesse nemmeno della fiducia di Lenin, che lo considerava troppo rozzo e autoritario.
Lo scontro fra Trotzkij e Stalin, cominciato nell'autunno del '23 e fattosi più aspro dopo la morte di Lenin, non riguardava solo il problema della "burocratizzazione". Trotzkij collegava infatti l'involuzione autoritaria del partito all'isolamento internazionale dello Stato sovietico, costretto a dedicare energie preziose alle esigenze della difesa e a sopportare da solo il peso della sua arretratezza. L'Unione Sovietica doveva dunque, da un lato, accelerare i suoi ritmi di industrializzazione, dall'altro concentrare i suoi sforzi nel tentativo di favorire l'estendersi del processo rivoluzionario nell'Occidente capitalistico e soprattutto nei paesi più sviluppati.
Contro questa tesi, per cui fu coniata l'espressione rivoluzione permanente, scese in campo lo stesso Stalin. Pur non rinnegando del tutto la teoria tradizionale, secondo cui la piena realizzazione dell'ideale socialista sarebbe stata il risultato dello sforzo comune del proletariato mondiale, Stalin sosteneva che, nei tempi brevi, la vittoria del "socialismo in un solo paese" era "possibile e probabile" e che l'Unione Sovietica aveva in sé le forze sufficienti a fronteggiare l'ostilità del mondo capitalista. La teoria del socialismo in un solo paese rappresentava una rottura con quanto era sempre stato affermato dai bolscevichi; ma aveva il vantaggio di adattarsi alla situazione reale, che da tempo non consentiva illusioni circa la possibilità di una rivoluzione mondiale, e offriva inoltre al paese lo stimolo di un potente richiamo patriottico. Anche l'atteggiamento delle potenze europee, che fra il '24 e il '25 si decisero a riconoscere lo Stato sovietico e a instaurare con esso normali rapporti diplomatici, finì col rafforzare implicitamente le tesi di Stalin. Il risultato fu l'ulteriore emarginazione di Trotzkij.
Una volta sconfitto Trotzkij, venne meno però il principale legame che teneva uniti i suoi avversari e il gruppo dirigente comunista conobbe una nuova drammatica spaccatura. L'occasione dello scontro fu offerta questa volta dal dibattito sulla politica economica. A partire dall'autunno del '25 Zinov'ev e Kamenev, riprendendo idee già sostenute da Trotzkij, si pronunciarono per un'interruzione dell'esperimento della Nep, che a loro avviso stava facendo rinascere il capitalismo nelle campagne, e per un deciso rilancio dell'industrializzazione a spese, se necessario, degli strati contadini privilegiati. La tesi opposta, favorevole alla prosecuzione della Nep e all'incoraggiamento alla piccola impresa agricola, pur nel quadro di un'economia pianificata, fu sostenuta con decisione da Bucharin, che ebbe l'appoggio di Stalin. Zinov'ev e Kamenev, messi in minoranza nel congresso del partito tenutosi nel dicembre '25, si riaccostarono a Trotzkij e, assieme a lui, cercarono di organizzare un fronte unico di opposizione. Ma la lotta contro Stalin e contro l'ormai onnipotente macchina del partito era perduta in partenza. I leader dell'opposizione furono dapprima allontanati dall'Ufficio politico e dal Comitato centrale, poi, nel '27, addirittura espulsi dal partito. I loro seguaci furono perseguitati e spesso incarcerati. Trotzkij fu deportato in una località dell'Asia centrale e successivamente espulso dall'Urss.
Con la sconfitta dell'opposizione di sinistra e con l'uscita di scena di buona parte del gruppo dirigente "storico", si chiudeva definitivamente la prima fase della rivoluzione comunista, la fase eroica della costruzione del nuovo Stato. Cominciava una nuova fase, che sarebbe stata caratterizzata dalla continua crescita del potere personale di Stalin e dal suo tentativo di portare l'Unione Sovietica alla condizione di grande potenza industriale e militare.
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