8.6 Il mondo delle campagne
La rilevanza assunta dal fenomeno urbano non deve far dimenticare che, intorno alla metà dell'800, in tutta l'Europa continentale erano i lavoratori della terra a costituire il grosso della popolazione attiva. Se in Gran Bretagna, già negli anni '50, gli addetti all'agricoltura si erano ridotti a non più del 20% sul totale degli occupati (contro il 50% di addetti all'industria), la percentuale era del 50% circa in Francia e negli Stati tedeschi, del 70% in Italia e nell'Impero asburgico, dell'80% e oltre in buona parte dell'Europa orientale.
A sua volta, il mondo contadino comprendeva una miriade di realtà economiche e di figure sociali diverse, con forti differenze fra Stato e Stato e fra regione e regione. La Gran Bretagna, con una popolazione agricola formata in buona parte da lavoratori salariati, rappresentava un caso isolato; così come un caso-limite era costituito dalla Russia con i suoi venti milioni e più di servi della gleba, liberati solo nel 1861. In Francia la tendenza all'aumento della piccola proprietà contadina, favorita dalla rivoluzione dell'89, continuò a manifestarsi per tutto l'800: nel 1860, su cinque milioni e mezzo di contadini capifamiglia, quattro milioni erano proprietari di appezzamenti di terra, per lo più di piccole e medie dimensioni. Negli Stati tedeschi e nei paesi dell'Impero asburgico una serie di leggi di emancipazione emanate fra il 1815 e il 1850 aveva gradualmente abolito le ultime forme di lavoro servile e stimolato il processo di privatizzazione della terra. Diversi furono però i beneficiari di queste trasformazioni. Nel Sud e nell'Ovest della Germania, la scomparsa del regime feudale lasciò il posto alla piccola e media proprietà. Nelle regioni tedesche a est dell'Elba, nonché in buona parte dell'Europa orientale, la privatizzazione della terra andò invece a vantaggio dei grandi latifondisti, mentre, per la maggior parte dei contadini, l'emancipazione significò semplicemente il passaggio dalla condizione di servi a quella di braccianti senza terra e non sempre comportò la rottura dei vincoli di subordinazione agli antichi signori. Una condizione in parte analoga, aggravata dalla scarsa produttività dei suoli, era quella in cui versavano i contadini del Mezzogiorno d'Italia e dell'intera Europa mediterranea. La situazione era ancora più complessa in altre zone del continente (Germania centrale, Italia centro-settentrionale, Austria, Boemia), dove coesistevano e si intrecciavano latifondo, azienda capitalistica e piccola proprietà, lavoro salariato e mezzadria.
I progressi, peraltro limitati, realizzati dall'agricoltura europea in coincidenza col generale sviluppo economico degli anni '50 e '60 non valsero a modificare nella sostanza le condizioni di vita delle masse contadine. Dappertutto i lavoratori agricoli occupavano i gradini inferiori della scala sociale e versavano in condizioni di notevole disagio: i redditi erano bassi o bassissimi salvo rare eccezioni, l'alimentazione povera, l'analfabetismo diffuso, la partecipazione alla vita politica quasi inesistente. Dappertutto i ceti rurali costituivano l'elemento statico della società, quello più legato alle religioni tradizionali e alle consuetudini del mondo preindustriale. La novità più rilevante stava nel fatto che lo sviluppo industriale e la rivoluzione dei trasporti offrivano ai lavoratori della terra maggiori possibilità di allontanarsi dal luogo d'origine. Fra il 1840 e il 1870, milioni di lavoratori - in buona parte contadini provenienti dall'Inghilterra, dall'Irlanda e dall'Europa centrale - lasciarono il vecchio continente per andare a dissodare le terre vergini del Nord America. Ancora più imponente fu nello stesso periodo il numero di coloro che abbandonarono definitivamente le campagne per cercare nuove occasioni di lavoro nei grandi centri industriali.
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