7.3 La parabola della Seconda Repubblica
I primi passi della Seconda Repubblica francese si svolsero in un clima di generale entusiasmo e furono caratterizzati da una ripresa in grande stile del dibattito politico. Fu abrogata ogni limitazione alla libertà di riunione. Sorsero nuovi giornali e si moltiplicarono, come già era avvenuto nell'89, i club e le associazioni d'ogni colore. Il clima di esaltazione collettiva che sempre si accompagna ai grandi rivolgimenti politici si fece sentire soprattutto nella capitale. In provincia, il passaggio di regime si attuò in un clima di relativa tranquillità, senza che si verificassero spargimenti di sangue.
In generale, i primi atti del governo repubblicano furono improntati a una certa moderazione. Fu abolita la pena di morte per i reati politici (veniva così implicitamente ripudiata la tradizione della repubblica giacobina, sulla cui immagine aveva a lungo pesato il ricordo del Terrore). Fu rifiutata la proposta di sostituire al tricolore la bandiera rossa, simbolo della rivoluzione sociale. La Repubblica si impegnava inoltre a rispettare l'equilibrio europeo, rinunciando così a "esportare" la rivoluzione oltre i suoi confini. Questa moderazione scontentava però le correnti più accese del fronte repubblicano, che chiedevano da un lato un appoggio deciso ai movimenti rivoluzionari di tutta Europa e premevano dall'altro per l'adozione di misure radicali in materia di politica economica e sociale.
Già alla fine di febbraio il governo provvisorio aveva stabilito in undici ore la durata massima della giornata lavorativa e - cosa ancora più importante - aveva affermato il principio del diritto al lavoro: una decisione di portata rivoluzionaria, che affrontava per la prima volta un nodo fondamentale dell'economia capitalistica, quello del pieno impiego. Per dare attuazione al diritto al lavoro, furono istituiti degli ateliers nationaux (alla lettera: opifici, o officine, nazionali). Il nome faceva pensare a quegli ateliers sociaux che Louis Blanc aveva teorizzato, nel suo libro del 1839 su L'organizzazione del lavoro, come vere e proprie cooperative di produzione, capaci di sostituirsi all'impresa privata (
5.7). Ma la realtà era più modesta, legata com'era alla necessità immediata di aiutare i lavoratori colpiti dalla disoccupazione. Gli operai degli ateliers furono infatti adibiti a lavori di pubblica utilità (scavo di canali, riparazione di strade) e posti alle dipendenze del ministero dei Lavori pubblici. Anche entro questi limiti, l'esperimento poneva gravi problemi alle finanze statali e introduceva un motivo di profondo contrasto in seno allo schieramento repubblicano, la cui ala moderata considerava pericoloso - e incompatibile con i princìpi del liberismo economico - un intervento diretto dello Stato nel mercato della manodopera.
Una prima secca sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne dalle elezioni per l'Assemblea costituente, che si tennero il 23 aprile 1848. Il suffragio universale - applicato per la prima volta dopo gli anni della "grande rivoluzione" e dopo i plebisciti napoleonici - portò infatti alle urne un elettorato rurale, i cui orientamenti erano assai più conservatori di quelli prevalenti nella capitale. Nel complesso, le elezioni segnarono ugualmente una notevole affermazione per la Repubblica (grazie anche all'atteggiamento favorevole di buona parte del clero): su novecento eletti, i conservatori dichiarati e i nostalgici della monarchia non erano più di un centinaio; ma un insuccesso ancora più netto toccò ai socialisti e all'ala più radicale dello schieramento democratico. I veri vincitori furono i repubblicani moderati: furono loro a costituire l'ossatura del nuovo governo dal quale vennero esclusi i socialisti Blanc e Albert.
Invano il popolo parigino tentò di riprendere l'iniziativa sul terreno delle manifestazioni di piazza. Il 15 maggio, una grande dimostrazione conclusasi con l'invasione dell'Assemblea costituente fu prontamente repressa dalla Guardia nazionale e molti leader della sinistra rivoluzionaria furono arrestati. Un mese dopo, il governo emanò un decreto con cui si stabiliva la chiusura degli ateliers nationaux e si obbligavano i disoccupati più giovani ad arruolarsi nell'esercito. La reazione dei lavoratori di Parigi fu immediata e spontanea. Il 23 giugno, oltre cinquantamila popolani (fra cui molti ex dipendenti degli ateliers) scesero in piazza. Nei quartieri popolari ricomparvero le barricate. In risposta, l'Assemblea costituente concesse pieni poteri al ministro della Guerra, il generale Louis Eugène Cavaignac, per procedere alla repressione, che fu condotta nei giorni successivi con spietata durezza. Migliaia di insorti trovarono la morte sulle barricate o nelle esecuzioni sommarie che seguirono gli scontri.
Le tragiche giornate di giugno segnarono una svolta decisiva non solo nella breve storia della Seconda Repubblica. Agli occhi della borghesia di tutta Europa, la rivolta dei lavoratori parigini (che a Marx apparve come il primo vero scontro di classe che vedesse schierati su opposti fronti proletariato e borghesia) dava corpo all'incubo della rivoluzione sociale, allo "spettro del comunismo". Tutta la società francese, dalla borghesia urbana, al clero, ai contadini irritati per l'aumento delle tasse, fu attraversata da un'ondata di riflusso conservatore.
Nei mesi successivi alle giornate di giugno, la situazione rimase tuttavia sotto il controllo dei repubblicani moderati. In novembre l'Assemblea costituente approvò a stragrande maggioranza la nuova costituzione: una costituzione democratica, ispirata al modello statunitense, che prevedeva un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo per la durata di quattro anni e un'unica Assemblea legislativa eletta anch'essa a suffragio universale.
Ma alle elezioni presidenziali (10 dicembre) i repubblicani si presentarono divisi (l'ala moderata appoggiò Cavaignac, quella progressista si schierò con Ledru-Rollin), mentre i conservatori di ogni gradazione fecero blocco sulla candidatura di
Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di un fratello dell'imperatore (quel Luigi Bonaparte che aveva occupato il trono olandese). Nonostante avesse un passato da cospiratore - era sfuggito al carcere due volte, dopo altrettanti tentativi falliti di rovesciare Luigi Filippo - l'allora quarantenne Luigi Napoleone seppe offrire ampie garanzie alla destra conservatrice e clericale, che non avrebbe avuto alcuna possibilità di successo se si fosse presentata isolata. Bonaparte garantiva al contrario, per la sola forza del suo nome, una sicura presa su vasti strati di elettorato popolare.
Il calcolo si rivelò esatto. Una vera e propria valanga di suffragi si riversò sul Bonaparte, che ottenne 5.400.000 voti, contro il milione e mezzo scarso di Cavaignac e i 400.000 di Ledru-Rollin. Si chiudeva così definitivamente la fase democratica della Seconda Repubblica. La Francia cessava di essere il centro di irradiazione della rivoluzione europea.
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