11.7 Declino e caduta della Destra storica
Nella prima metà degli anni '70 si verificarono nel quadro politico italiano alcuni significativi mutamenti. Aumentò il numero dei deputati che non si collocavano né a destra né a sinistra, ma si definivano "indipendenti" o "di centro". Si accentuarono le fratture interne alla Destra, sempre più divisa in gruppi a base regionale (lombardo-emiliani, piemontesi, toscani). Si fece evidente, anche in conseguenza dei timori suscitati dalla Comune parigina, lo slittamento di buona parte della Sinistra parlamentare su posizioni più moderate. Accanto alla vecchia Sinistra piemontese, guidata da Agostino Depretis, e alla cosiddetta Sinistra storica - quella degli ex garibaldini come Crispi, Cairoli e Zanardelli - veniva emergendo una Sinistra giovane, espressione di una borghesia moderata (soprattutto meridionale), poco sensibile alla tradizione democratico-risorgimentale e attenta piuttosto alla tutela dei propri interessi.
A mettere in crisi la già scossa maggioranza fu, paradossalmente, la defezione di uno dei gruppi più conservatori, quello toscano. Il 18 marzo 1876 la Destra si presentò divisa nella discussione alla Camera di un progetto governativo per il passaggio alla gestione statale delle ferrovie (che erano affidate in esercizio a compagnie private). Il governo Minghetti, messo in minoranza, presentò le dimissioni. Pochi giorni dopo, il re chiamò a formare il nuovo governo Agostino Depretis, che costituì un ministero formato interamente da uomini della Sinistra. La sanzione definitiva del passaggio di potere venne dalle elezioni politiche del novembre di quell'anno. Il nettissimo successo della Sinistra fu in parte dovuto alle pesanti ingerenze del governo: e dunque costituì una riprova di quanto pesasse, in regime di suffragio ristretto, l'influenza del potere esecutivo. D'altro canto, il risultato delle elezioni confermò il carattere irreversibile del declino della Destra, ormai sostituita nella funzione di rappresentanza dei ceti borghesi e moderati.
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