26.9 La crisi della sicurezza collettiva e i fronti popolari
L'avvento al potere di Hitler diede un duro colpo all'equilibrio internazionale già scosso dalle conseguenze della grande crisi (che aveva distrutto le basi economiche della cooperazione fra vinti e vincitori e fra Europa e Stati Uniti). La prima importante decisione del governo nazista in materia di politica estera fu, nell'ottobre '33, il ritiro della delegazione tedesca dalla conferenza internazionale di Ginevra, dove le grandi potenze (comprese Usa e Urss) cercavano di giungere a un accordo sulla limitazione degli armamenti. Seguì, pochi giorni dopo, il ritiro della Germania dalla Società delle nazioni.
Queste decisioni, con le quali Hitler mostrava chiaramente di non sentirsi legato al "sistema di Locarno" (
23.10) e agli impegni assunti dai suoi predecessori, destarono allarme in tutta Europa. Anche l'Italia fascista, nonostante le indubbie affinità ideologiche e nonostante il comune atteggiamento revisionista (critico cioè nei confronti dell'assetto internazionale stabilito a Versailles), ebbe ben presto motivo di preoccuparsi per le mire aggressive tedesche. Quando in Austria, nel luglio del '34, gruppi nazisti ispirati da Berlino tentarono di impadronirsi del potere e uccisero il cancelliere Dollfuss al fine di preparare l'unificazione fra Austria e Germania, Mussolini reagì immediatamente facendo schierare quattro divisioni al confine italo-austriaco. Hitler, che non era ancora pronto per una guerra, fu costretto a far macchina indietro sconfessando gli autori del complotto.
Meno di un anno dopo (aprile 1935), di fronte a una nuova iniziativa unilaterale del governo tedesco, che reintrodusse in Germania la coscrizione obbligatoria vietata dal trattato di Versailles, i rappresentanti di Italia, Francia e Gran Bretagna si riunirono a Stresa per condannare il riarmo tedesco, per ribadire la validità dei patti di Locarno e per riaffermare il loro interesse all'indipendenza dell'Austria. Fu questa l'ultima manifestazione di solidarietà fra le tre potenze vincitrici. Pochi mesi più tardi l'aggressione italiana all'Etiopia (
27.6) avrebbe rotto il "fronte di Stresa" e dato avvio a un processo di riavvicinamento italo-tedesco.
Ma intanto la causa della sicurezza collettiva aveva trovato un nuovo e insperato sostegno proprio nel paese che fin allora era rimasto - per sua e per altrui volontà - completamente estraneo a tutte le iniziative nate nell'ambito della Società delle nazioni: l'Unione Sovietica. Fino al '33 la politica estera dell'Urss si era ispirata a una linea dura e spregiudicata: rifiuto dei trattati di Versailles, nessuna distinzione fra Stati fascisti e democrazie borghesi. I successi di Hitler, che non aveva mai fatto mistero di quali fossero i suoi progetti nei confronti della Russia, indussero Stalin a modificare radicalmente le precedenti impostazioni. Nel settembre '34 l'Urss entrò nella Società delle nazioni e nel maggio '35 stipulò un'alleanza militare con la Francia.
Questa brusca svolta diplomatica ebbe immediato riscontro in un altrettanto rapido capovolgimento della linea seguita dal Comintern e dai partiti comunisti europei. Fu improvvisamente accantonata la tattica della contrapposizione frontale nei confronti delle forze democratico-borghesi e più ancora delle socialdemocrazie (già accusate di favorire "oggettivamente" il fascismo o addirittura di costituire "un'ala del fascismo", da cui l'espressione polemica socialfascismo): tattica che tanto aveva contribuito a isolare il movimento comunista e a spianare la strada al nazismo in Germania. La nuova parola d'ordine, lanciata ufficialmente nel VII congresso del Comintern (Mosca, agosto 1935) fu quella della lotta al fascismo, indicato ora come il primo e il principale nemico. Ai partiti comunisti spettava il compito di riallacciare i rapporti non solo con gli altri partiti operai, ma anche con le forze democratico-borghesi, di favorire ovunque possibile la nascita di larghe coalizioni dette fronti popolari (dove l'aggettivo stava a indicare il passaggio in secondo piano degli obiettivi più propriamente socialisti), di appoggiare i governi democratici decisi a combattere il fascismo.
La politica dei fronti popolari, se da una parte rappresentò l'estensione di una direttiva della politica estera dell'Urss, dall'altra fu il risultato di una pressione unitaria della base operaia europea, spaventata dalla minaccia fascista. Questa spinta si avvertì soprattutto in Francia, dove l'instabilità governativa e il susseguirsi degli scandali politico-finanziari mettevano a dura prova le istituzioni repubblicane, dando spazio alla crescita della destra reazionaria e dei movimenti filofascisti. Quando, il 6 febbraio 1934, l'estrema destra organizzò una marcia sul Parlamento (interrotta dall'intervento della polizia) per impedire l'insediamento del governo presieduto dal radicale Daladier, socialisti e comunisti reagirono con manifestazioni unitarie, le prime dopo molti anni. Fu questo il segno di un riavvicinamento che anticipava e preparava la svolta dell'Internazionale comunista e che sarebbe poi stato sanzionato dalla firma, in Francia e in altri paesi, di patti di unità d'azione fra socialisti e comunisti.
La nuova linea unitaria ebbe l'effetto di rinfrancare un movimento operaio depresso da una lunga serie di sconfitte e di far rinascere la speranza che fosse possibile fronteggiare vittoriosamente il fascismo con l'unità fra tutte le forze di sinistra. Queste speranze si sarebbero in buona parte rivelate illusorie. L'avvicinamento fra l'Urss e le democrazie e il rilancio della politica di sicurezza collettiva non bastarono a fermare, nel '35, l'aggressione dell'Italia fascista all'Etiopia; né poterono impedire che, nella primavera del '36, Hitler violasse un'altra clausola di Versailles reintroducendo truppe tedesche nella Renania "smilitarizzata".
Il solo risultato concreto della politica dei fronti popolari fu quello di restituire un minimo di unità al movimento operaio europeo, per la prima volta dopo la grande rottura della rivoluzione russa, e di ridare così alla sinistra l'opportunità di assumere il governo nelle democrazie occidentali. Nel febbraio 1936, una coalizione di fronte popolare comprendente anche i comunisti vinse le elezioni politiche in Spagna. Nel maggio dello stesso anno, in Francia il netto successo elettorale delle sinistre aprì la strada alla formazione di un governo composto da radicali e socialisti, sostenuto dall'esterno dai comunisti e presieduto dal socialista
Léon Blum.
L'insediamento del primo governo a guida socialista nella storia francese fu accompagnato da grandi manifestazioni di entusiasmo popolare. La Francia repubblicana e socialista parve ritrovare per un momento l'atmosfera fra esaltata e festosa delle rivoluzioni ottocentesche. Gli operai dell'industria diedero vita a un'imponente ondata di scioperi e di occupazioni di fabbriche, strappando a un padronato riluttante, grazie anche alla decisiva mediazione del governo, la firma degli "storici" accordi di Palazzo Matignon (giugno 1936), che prevedevano, oltre a consistenti aumenti salariali, la riduzione della settimana lavorativa a quaranta ore e la concessione di quindici giorni di ferie pagate.
Nonostante venissero incontro a esigenze più che legittime (le due settimane di ferie, ad esempio, erano state conquistate in altri paesi europei già nell'immediato dopoguerra ed erano in vigore anche in Italia e in Germania), gli accordi di Palazzo Matignon crearono notevoli difficoltà all'economia francese, che non si era ancora ripresa dalla grande depressione. L'improvviso aumento del costo del lavoro pregiudicò la competitività dei prodotti dell'industria e innescò un rapido processo inflazionistico che vanificò in gran parte i vantaggi salariali conseguiti dai lavoratori. L'inflazione, e la contemporanea fuga dei capitali all'estero, costrinsero i governi di fronte popolare a due successive svalutazioni del franco. Fatto segno alla violenta ostilità degli ambienti industriali e finanziari, oltre che alla ricorrente minaccia dell'estrema destra, il governo Blum si dimise nel giugno del '37 senza essere riuscito a condurre in porto un organico programma di riforme. La maggioranza di sinistra resistette ancora per un anno, prima di dissolversi a causa dei continui contrasti fra i radicali e i partiti operai. Nella primavera del '38, mentre la situazione internazionale si andava rapidamente deteriorando, l'esperienza del Fronte popolare poteva considerarsi già chiusa.
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