36.5 La crisi dei centrosinistra
Nei primi anni '70, la debolezza dell'esecutivo di fronte alle tensioni della società apparve in tutta la sua evidenza non solo nelle frequenti crisi governative, ma anche nel modo in cui fu affrontato il primo manifestarsi del terrorismo politico. Il 12 dicembre 1969, in pieno "autunno caldo", una bomba esplosa a Milano, in piazza Fontana, nella sede della Banca nazionale dell'agricoltura, provocò 17 morti e oltre 100 feriti. L'incapacità di risolvere il caso di cui dettero prova gli apparati dello Stato fu messa sotto accusa dall'opinione pubblica e dalla stampa di sinistra, che individuò nell'estrema destra fascista la matrice politica dell'attentato e denunciò le pesanti responsabilità dei servizi di sicurezza nel deviare le indagini verso un'improbabile "pista anarchica". Si parlò allora di una strategia della tensione messa in atto dalle forze di destra per incrinare le basi dello Stato democratico e favorire soluzioni autoritarie. La conferma dei pericoli corsi dalle istituzioni venne, nell'estate '70, dalla rivolta di Reggio Calabria, che vide un'intera città, esasperata per non essere stata designata come capoluogo dell'appena istituita regione, esplodere in una serie di violente dimostrazioni, culminate, in luglio, in una vera e propria rivolta guidata da esponenti del Msi.
L'impotenza dimostrata, in questa come in altre occasioni, dai poteri pubblici rifletteva anche profonde divisioni all'interno dello schieramento di governo. Mentre ampi settori della Dc e del Psdi tendevano a farsi interpreti di un'opinione pubblica moderata (la cosiddetta maggioranza silenziosa) spaventata dalle agitazioni operaie e studentesche, e a spostare dunque verso destra l'asse politico della maggioranza, il Psi mirava apertamente a equilibri più avanzati, cioè al progressivo coinvolgimento del Pci nelle responsabilità di governo. Il ricorso a elezioni politiche anticipate, nel maggio '72, si rivelò inutile e non portò mutamenti di rilievo (a parte un certo rafforzamento del Msi). Né il governo centrista composto da democristiani, socialdemocratici e liberali e guidato da Giulio Andreotti ('72-73) né i successivi governi di centro-sinistra presieduti da Mariano Rumor ('73-74) furono in grado di compiere scelte politiche di ampio respiro e di affrontare con efficacia una situazione economica che presentava nuovamente sintomi preoccupanti (ristagno produttivo, dovuto anche alla persistente conflittualità sindacale, crescita della spesa pubblica). Alla fine del '73, le difficoltà economiche furono aggravate dalle conseguenze della guerra arabo-israeliana del Kippur (
34.10 e
35.4): l'aumento del prezzo del petrolio provocò, in Italia come altrove, un calo della produzione industriale e l'avvio di un processo inflazionistico.
Alle difficoltà economiche (che peraltro incisero solo in misura limitata sul reddito dei cittadini) si aggiungeva un crescente disagio morale, provocato da una serie di scandali in cui furono coinvolti numerosi esponenti della maggioranza, messi sotto accusa per aver favorito gruppi di pressione italiani e stranieri in cambio di tangenti destinate a finanziare i rispettivi partiti. La rapida adozione, nell'aprile '74, di una legge sul finanziamento pubblico dei partiti rappresentati in Parlamento non servì a sanare la frattura fra società politica e società civile, solo in parte compensata dalla costante alta partecipazione alle consultazioni elettorali.
In presenza di una diffusa sfiducia nel sistema dei partiti, l'elevata politicizzazione degli italiani prese le forme di un accentuato impegno sul terreno dei diritti civili. Quando, nel 1974, la nuova legge sul divorzio fu sottoposta a referendum abrogativo per iniziativa di gruppi cattolici appoggiati dalla Dc e dal Msi, si assistette a una grande mobilitazione che non sempre seguiva i canali partitici. Il netto successo dei divorzisti (nel referendum, che si tenne in maggio, i no all'abrogazione della legge furono quasi il 60%) mostrò chiaramente che la società italiana era cambiata, che il ruolo della donna non poteva essere più confinato nella difesa della famiglia, che il peso della Chiesa come ispiratrice della vita privata dell'individuo era fortemente ridimensionato. I mutamenti intervenuti nella società italiana trovarono ulteriore riscontro in due leggi approvate nel '75: la riforma del diritto di famiglia, che sanciva la parità giuridica fra i coniugi; e l'abbassamento della maggiore età, cui era legato il diritto di voto, da ventuno a diciotto anni. Tre anni più tardi (giugno '78), dopo un lungo e acceso dibattito che vide ancora una volta la Dc opposta alle sinistre e ai partiti laici, il Parlamento approvò la legge che legalizzava e disciplinava l'interruzione volontaria della gravidanza.
Intorno alla metà degli anni '70, anche sull'onda del successo nel referendum sul divorzio, le forze del cambiamento parvero in ascesa sull'onda di una critica diffusa al degrado della vita pubblica e di una generale richiesta di rinnovamento. A cogliere i frutti politici di questa domanda fu soprattutto il Pci, che già nel '68 aveva dato di sé un'immagine diversa da quella tradizionale con la condanna dell'intervento sovietico in Cecoslovacchia, e che nel '73 prospettò un importante mutamento strategico. Il suo segretario
Enrico Berlinguer sostenne la necessità di giungere a un compromesso storico, ossia a un accordo di lungo periodo fra le forze comuniste, socialiste e cattoliche, come unica via per scongiurare i rischi di soluzioni autoritarie e per allargare le basi dell'azione riformatrice. In seguito il Pci stabilì contatti con i comunisti francesi e spagnoli per avviare una politica comune in Europa occidentale, con connotati diversi da quelli del comunismo sovietico (si parlò allora di eurocomunismo).
Il carattere moderato e rassicurante della proposta di Berlinguer, unito alla persistente "diversità" che derivava dalle origini rivoluzionarie del partito (e che fin allora aveva rappresentato un limite alla sua espansione) fecero del Pci, in questa fase, il naturale punto di convergenza delle numerose ed eterogenee istanze di trasformazione che si agitavano nella società italiana. Lo si vide nelle elezioni regionali e locali del giugno '75 (le prime cui parteciparono i diciottenni), che registrarono un vistoso aumento del Pci (salito dal 27,9 al 33,4%) e un calo della Dc (scesa dal 37,9 al 35,3) e consentirono la formazione di giunte di sinistra in molte regioni del Centro-nord e in alcuni tra i maggiori comuni italiani.
Lo spostamento a sinistra dell'elettorato accentuò i dissensi fra Dc e Psi. Si giunse così, nel dicembre '75, al disimpegno socialista dal governo, che segnò in pratica la fine dell'esperienza del centro-sinistra. Non trovandosi l'accordo per una formula politica di ricambio, si ricorse ancora una volta ad elezioni anticipate, che si tennero nel giugno '76. Mentre la Dc recuperò i consensi perduti nelle regionali, il Pci avanzò ulteriormente, toccando il suo massimo storico (34,4%). Il Psi, col 9,6%, registrò una sostanziale sconfitta, che portò alla crisi del vecchio gruppo dirigente e all'ascesa alla segreteria di Bettino Craxi, leader della corrente autonomista.
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