23.4 La rivoluzione in Germania
Prima ancora di essere sancita dalle scissioni ufficiali, la rottura fra socialdemocrazia e comunismo era stata segnata nei fatti dalle vicende che in Russia avevano portato i bolscevichi al potere e più ancora da quelle drammatiche che in Germania avevano seguito la proclamazione della Repubblica.
Già al momento della firma dell'armistizio, lo Stato tedesco si trovava in una situazione tipicamente rivoluzionaria. L'esercito, una volta ripiegato sulla linea del Reno, si disgregò completamente e centinaia di migliaia di soldati si riversarono nel paese, spesso portando con sé le proprie armi. Il governo legale era esercitato da un Consiglio dei commissari del popolo presieduto dal socialdemocratico Ebert e composto esclusivamente da socialisti (compresi gli "indipendenti" dell'Uspd, la frazione di sinistra staccatasi dalla Spd nel '17). Ma nelle città i veri padroni della situazione erano i consigli degli operai e dei soldati, che occupavano aziende e sedi di giornali, requisivano viveri da distribuire alla popolazione, dettavano le loro condizioni agli industriali e ai rappresentanti dei poteri legali. A Berlino, roccaforte dell'estrema sinistra, dove i disoccupati erano oltre duecentomila e le strade erano piene di soldati armati, si susseguivano le manifestazioni e gli scontri di piazza. La situazione, insomma, poteva sembrare molto simile a quella della Russia del '17. In realtà le differenze erano notevoli. C'erano innanzitutto gli eserciti vincitori schierati lungo il Reno e pronti a intervenire per bloccare ogni sviluppo rivoluzionario. Mancava una mobilitazione delle masse rurali, che rimasero in maggioranza ostili ai movimenti rivoluzionari urbani. La classe dirigente (ufficiali e alti burocrati, proprietari terrieri e magnati dell'industria) era, rispetto a quella russa, più numerosa e meglio radicata nella società. Molto diversi erano infine i rapporti di forza all'interno del movimento operaio.
Contrariamente ai menscevichi russi, i socialdemocratici tedeschi avevano dietro di sé una lunga tradizione di lotte legali, controllavano le centrali sindacali, disponevano di un apparato organizzativo efficiente e capillare: erano anzi, dopo la dissoluzione dell'esercito, l'unica grande forza organizzata presente nel paese. I leader socialdemocratici erano decisamente contrari a una rivoluzione di tipo sovietico e favorevoli a una democratizzazione del sistema politico entro il quadro delle istituzioni parlamentari. Non intendevano, soprattutto, smantellare le strutture militari e civili del vecchio Stato fino alla convocazione di un'assemblea costituente. Si creò così un'obiettiva convergenza fra i capi della Spd e gli esponenti della vecchia classe dirigente che vedevano nella forza della socialdemocrazia e nel suo ascendente sulle masse l'unico argine efficace contro la rivoluzione. I capi dell'esercito, in particolare, stabilirono con i leader socialdemocratici una specie di patto non scritto, impegnandosi a servire lealmente le istituzioni repubblicane in cambio di garanzie circa la tutela dell'ordine pubblico e il mantenimento della tradizionale struttura gerarchica delle forze armate.
La linea moderata scelta dalla Spd portava fatalmente allo scontro con le correnti più radicali del movimento operaio tedesco: gli "indipendenti" dell'Uspd e soprattutto i rivoluzionari della Lega di Spartaco (nucleo originario del Partito comunista tedesco) si opponevano infatti alla convocazione della Costituente e puntavano tutto sui consigli, visti come cellule costitutive di una nuova "democrazia socialista". Gli spartachisti erano però consapevoli di essere nettamente minoritari, anche all'interno dei consigli operai, e avrebbero evitato volentieri un'immediata prova di forza contro i socialdemocratici. Fu l'iniziativa spontanea delle masse della capitale a spingerli verso lo scontro.
Il 5-6 gennaio 1919, centinaia di migliaia di berlinesi scesero in piazza per protestare contro la destituzione di un esponente della sinistra dalla carica di capo della polizia della capitale. I dirigenti spartachisti e alcuni leader "indipendenti" decisero allora di approfittare di questa mobilitazione di massa e diffusero un comunicato in cui si incitavano i lavoratori a rovesciare il governo. Ma la risposta del proletariato berlinese fu inferiore alle aspettative. Durissima fu invece la reazione del governo social-democratico che affidò l'incarico di fronteggiare la rivolta al commissario alla Difesa Gustav Noske. Questi, non potendo contare su un esercito efficiente, si servì per la repressione di squadre volontarie (i cosiddetti Freikorps, ossia "corpi franchi") formate da soldati smobilitati e inquadrate da ufficiali di orientamento nazionalista e conservatore. Nel giro di pochi giorni i Freikorps schiacciarono nel sangue l'insurrezione berlinese. I leader del movimento spartachista, Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, furono arrestati e trucidati da ufficiali dei corpi franchi.
Il 19 gennaio, poco dopo la fine della rivolta spartachista, si tennero le elezioni per l'Assemblea costituente. Assenti i comunisti, che avevano deciso di boicottare le elezioni, i socialdemocratici si affermarono come il partito più forte, ma non riuscirono a raggiungere la maggioranza assoluta nemmeno con l'apporto dell'Uspd. Non potevano più dunque esercitare il potere da soli, ma dovevano cercare l'accordo con almeno una parte dei gruppi "borghesi": i cattolici del Centro, confermatisi come il secondo partito tedesco, o i partiti di matrice liberale che avevano dominato la scena parlamentare in età imperiale e ora si ripresentavano, fortemente ridimensionati, con nuove sigle e nuovi programmi. L'accordo fra socialisti, cattolici e democratici rese possibile l'elezione di Ebert alla presidenza della Repubblica, la formazione di un governo di coalizione a direzione socialdemocratica e, cosa più importante, il varo della nuova costituzione repubblicana. Una costituzione indiscutibilmente democratica, che prevedeva il mantenimento della struttura federale dello Stato, il suffragio universale maschile e femminile, un governo responsabile di fronte al Parlamento e un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo.
Né la convocazione della Costituente né il varo (agosto '19) della costituzione di Weimar - chiamata così dal nome della città in cui si svolsero i lavori dell'assemblea - valsero però a riportare la tranquillità nel paese. Ai primi di marzo vi furono nuovi disordini a Berlino, repressi con notevole spargimento di sangue. In primavera l'epicentro del moto rivoluzionario si spostò in Baviera, dove comunisti e "indipendenti" avevano proclamato una Repubblica dei consigli, stroncata alla fine di aprile, dopo duri combattimenti, dall'intervento dell'esercito e dei corpi franchi. Anche in seguito i comunisti - che non perdonavano ai socialdemocratici la repressione del moto spartachista - continuarono a organizzare manifestazioni di piazza e veri e propri tentativi insurrezionali.
Ma ancora più grave era la minaccia che veniva dall'estrema destra: dai militari smobilitati inquadrati nei corpi franchi (che sempre più tendevano ad agire per proprio conto, al di fuori di qualsiasi controllo delle autorità) e dagli stessi capi dell'esercito, inclini a dimenticare, man mano che si allontanava il pericolo rivoluzionario, i loro impegni di lealtà alle istituzioni repubblicane. Furono proprio quei generali che portavano la maggiore responsabilità politica della sconfitta e che avevano sollecitato, nell'autunno del '18, una rapida conclusione dell'armistizio, a diffondere la leggenda della pugnalata alla schiena: quella secondo cui l'esercito tedesco sarebbe stato ancora in grado di vincere se non fosse stato tradito da una parte del paese. Si trattava di una leggenda priva di qualsiasi fondamento; ma essa servì ugualmente a gettare discredito sulla Repubblica nata dalla sconfitta e sulla classe dirigente che si era assunta l'ingrato compito di firmare la pace. Di ciò fecero le spese soprattutto i socialdemocratici, che delle scelte politiche compiute in regime repubblicano portavano le maggiori responsabilità. Nelle elezioni del giugno 1920 la Spd subì una secca sconfitta e dovette cedere la guida del governo ai cattolici del Centro.
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