1.8 Romanticismo e politica
In quanto cultura dominante di un'intera epoca, il Romanticismo non si identificò con una determinata tendenza ideologica, ma fornì ispirazione e spunti a quasi tutte le correnti di pensiero e a tutti i principali movimenti politici operanti all'inizio dell'800. Certo, nella cultura romantica c'erano molti elementi che si prestavano a essere fatti propri dai fautori della Restaurazione. La critica al razionalismo illuminista dei giacobini e alla sua pretesa di rifondare la società senza tener conto delle tradizioni storiche e delle peculiarità nazionali (critica già presente negli scritti di liberali moderati come l'inglese Edmund Burke o l'italiano Vincenzo Cuoco) fu una costante di tutta la polemica antirivoluzionaria dell'epoca. Il richiamo alla storia e alla tradizione si trasformò non di rado nella pura e semplice nostalgia del passato e nel tentativo di riportarne in vita questo o quell'aspetto. La riscoperta della dimensione religiosa - che nel romanticismo tedesco significava essenzialmente ricerca della divinità operante dentro la natura e dentro la storia - divenne spesso ritorno alle religioni positive, in particolare al cattolicesimo con le sue gerarchie e i suoi culti tradizionali.
Se spinto alle estreme conseguenze, il tradizionalismo politico e religioso poteva sfociare in vere e proprie utopie reazionarie: come quella a sfondo teocratico del francese Louis de Bonald e del savoiardo Joseph de Maistre, entrambi sostenitori di un assolutismo monarchico fondato sul diritto divino dei re. De Maistre - che vedeva nella rivoluzione francese una grande espiazione collettiva imposta da Dio a un'umanità colpevole di aver abbandonato la retta via della fede - giunse a invocare, in una celebre opera del 1819 intitolata Du Pape ("Sul Papa"), la sottomissione dei sovrani all'autorità suprema del pontefice di Roma.
Se molti intellettuali vissero l'esperienza romantica come un ritorno al passato, alla tradizione, all'autorità, molti altri vi trovarono le premesse per scelte di tutt'altro genere. Romanticismo significava anche libertà, rottura di norme consolidate, affermazione dell'individuo contro le convenzioni: gli stessi valori che ispiravano le battaglie dei liberali, dei democratici e di quanti si opponevano alla Restaurazione. Per limitarci al caso della Francia, si deve ricordare che fra i primi assertori del credo romantico vi erano, accanto al cattolico e legittimista Chateaubriand, personaggi di orientamento liberale come Madame de Staël, lo scrittore Benjamin Constant e lo storico Sismondo de Sismondi; e che anche in seguito si sarebbero richiamati al Romanticismo intellettuali impegnati in senso democratico come Hugo e Lamartine.
Nella cultura del Romanticismo c'era poi un altro elemento difficilmente compatibile con l'ideologia della Restaurazione e con gli equilibri politici usciti dal congresso di Vienna: il culto dei valori nazionali e degli ideali patriottici. Negli Stati che avevano alle spalle una lunga storia unitaria (Francia, Spagna, Gran Bretagna), l'
idea di nazione (p. 29) poteva anche esprimersi in forme conservatrici: in Francia, ad esempio, accanto al nazionalismo democratico, erede della tradizione rivoluzionaria, ne esisteva uno cattolico e legittimista. Ma nei paesi che dovevano conquistare, o riconquistare, la loro indipendenza (la Polonia, la Grecia, l'Italia, le nazioni soggette all'Impero asburgico) il sentimento patriottico assumeva immediatamente una connotazione rivoluzionaria, tendeva a collegarsi con le ideologie liberali e democratiche e acquistava spesso un respiro sovranazionale: nella storia delle rivoluzioni nazionali ottocentesche si incontra spesso la figura del patriota che va a combattere per la libertà di altri popoli.
Un caso per molti aspetti particolare fu quello dei paesi di lingua tedesca, dove il movimento nazionalista, nato col primo Romanticismo e cresciuto negli anni delle guerre napoleoniche, assunse, nelle sue espressioni più autorevoli, un carattere esclusivista e conservatore (pur senza mai confondersi col tradizionalismo nostalgico e reazionario dei legittimisti francesi). Nei suoi celebri Discorsi alla Nazione tedesca del 1807-8 - vero e proprio manifesto del nazionalismo germanico - il filosofo Johann Gottlieb Fichte proclamava la superiorità intellettuale dei tedeschi sugli altri popoli europei e delineava il progetto di uno Stato nazionale dai tratti fortemente autoritari. Un altro grande filosofo, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, massimo esponente dell'idealismo e dello storicismo, concepiva lo Stato come un'entità organica e gerarchica, depositaria dei più alti valori etici, espressione degli interessi generali della società al di là e al di sopra dei diritti individuali, non soggetta ad alcun controllo dal basso né ad altro giudizio che quello del "tribunale della storia". Erano questi i fondamenti di una ideologia tedesca che avrebbe influenzato profondamente le successive vicende storiche della Germania.
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